mercoledì 2 luglio 2014

La privatizzazione dell'acqua in Italia



In linea con gli attuali processi di privatizzazione il mercato dell’acqua finirà in mano alle imprese che si spartiranno il ricco mercato, dalla captazione, alla depurazione, alle fognature, che oggi sono gestite da oltre 8.000 enti, per la maggior parte comunali.

La “Legge Galli” riorganizza la gestione idrica in Italia istituendo gli Ambiti Territoriali Ottimali (ATO), circa 90 macroaree, più o meno coincidenti con le Province. La legge 36/1994, infatti, prevede che gli enti locali si mettano insieme in consorzi, costituiscano le autorità e i Piani di ambito, indicando investimenti e tariffe previsti e bandiscano gare aperte ai privati per scegliere le imprese a cui affidare la gestione del ciclo delle acque.

L’insieme degli investimenti si aggira intorno ai 50 miliardi di euro e l’affare consiste soprattutto nella possibilità, per le imprese che si vedranno assegnato il sevizio, di aumentare le tariffe a scapito degli utenti, dal momento che attualmente quelle italiane sono mediamente molto più basse (circa 1/5) rispetto a quelle francesi o tedesche
.
Il mercato delle acque è completamente globalizzato. In Italia, ad Arezzo, primo comune ad avere appaltato la gestione idrica, la gara è stata vinta dalla Suez lyonnaise des eaux

Per contro, la Società Romana Acea si è già lanciata alla conquista del mercato 
sudamericano.

Oggi 1 miliardo e 400 milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile, e la Banca Mondiale stima che antro il 2025 questo dato salirà a 2,5 miliardi. Ciò significa che l’acqua diverrà sempre più preziosa, soprattutto se controllata da multinazionali. Privatizzare l’acqua significa sottomettere un bene vitale ad interessi finanziari e ridurre la partecipazione democratica dei cittadini nelle decisioni sulla gestione. Se fino ad oggi l’acqua era considerata una risorsa vitale di cui la collettività (enti pubblici) si faceva carico, oggi diventa una vera e propria merce destinata a chi può pagarla.

Un'inchiesta di afrol.com rivela che nel 2000 i prestiti concessi dal Fondo monetario internazionale a 12 paesi (quasi tutti africani, poveri e indebitati) hanno avuto una condizione comune: la privatizzazione delle risorse idriche o il completo rientro sui costi del servizio pubblico. Tra i paesi africani coinvolti nel do ut des dell'Fmi sono Angola, Benin, Guinea-Bissau, Niger, Ruanda, Senegal, Tanzania, Repubblica Democratica di São Tomé e Principe nel golfo di Guinea. Ma sono coinvolte anche altre zone del continente. In Ghana, ad esempio, è stata la Banca mondiale a proporre un prestito condizionato dalla privatizzazione dell'acqua, scatenando una protesta civile. Altrettanto sta accadendo in Sud Africa, dove sindacati e movimenti locali sono impegnati in una campagna contro la privatizzazione dei servizi pubblici locali ”.

“I fautori della "petrolizzazione" dell'acqua hanno vinto al 2° Foro Mondiale dell'Acqua tenutosi all'Aja dal 17 al 22 marzo scorso.

Malgrado l'opinione largamente diffusa fra i 4.600 partecipanti, favorevole al riconoscimento dell'accesso all'acqua per tutti come un diritto umano e sociale imprescrittibile, i rappresentanti governativi di più di 130 Stati hanno adottato una Dichiarazione ministeriale nella quale non fanno alcun riferimento al principio del "diritto umano" ma affermano che l'accesso all'acqua per tutti deve essere solo considerato come un "bisogno vitale".

Inoltre, in coerenza con tale affermazione, hanno sostenuto che per assicurare una gestione "efficace" dell'acqua in tutto il mondo questa deve essere oramai considerata principalmente, come un "bene economico" (e non solo come un "bene sociale"), il cui valore deve essere determinato sulla base del "giusto prezzo", fissato del mercato nell'ambito della libera concorrenza internazionale, secondo il principio del recupero del costo totale.