Tratti dal libro in questione è “Frammenti di un insegnamento sconosciuto”, di P.D. Ouspensky, Ed. Astrolabio.
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G. aveva un suo modo di combinare queste riunioni, che non capivo molto bene. Mi pareva che rendesse le cose più difficili del necessario. Per esempio, accadeva raramente che egli mi autorizzasse a fissare in anticipo una data precisa. Di solito si veniva a sapere, alla fine di una riunione, che G. sarebbe rientrato a Mosca il giorno dopo. Ma il mattino seguente diceva di aver deciso di restare fino alla sera. L’intera giornata la trascorreva nei caffè dove incontrava persone che desideravano vederlo. Ed era solo la sera, un’ora o un’ora e mezzo prima che incominciassero le nostre riunioni abituali, che mi diceva : “Perché non riunirci stasera ? Avvertite quelli che vorranno venire e dite che saremo nel tal luogo”.
Mi precipitavo al telefono, ma verso le sette o le sette e mezzo di sera naturalmente tutti erano già impegnati e non potevo riunire che un piccolo gruppo di persone.
Non riuscivo a vedere, allora, perché G. agisse in tal modo. In seguito, però, cominciai ad individuare chiaramente il motivo principale : G. non voleva in alcun modo rendere facile il contatto con il suo insegnamento. Al contrario, riteneva che la gente avrebbe potuto apprezzare le sue idee soltanto superando difficoltà accidentali o arbitrarie.
“Nessuno apprezza”, diceva, “ciò che viene senza sforzo. Se un uomo ha già provato qualcosa, siate certi che resterà tutto il giorno vicino al telefono per non perdere un eventuale invito, oppure chiamerà egli stesso, domanderà, si informerà. E se uno aspetta di essere chiamato o si informa di persona in anticipo solo per rendersi le cose più comode, fatelo aspettare ancora. Certo, per quelli che abitano fuori Pietroburgo non è facile. Ma non ci possiamo far niente. Più tardi, forse, avremo delle riunioni a date fisse. Per il momento è impossibile, bisogna che le persone si manifestino, e che noi possiamo vedere come apprezzano ciò che hanno inteso.”
Tutti questi punti di vista, e molti altri ancora, restavano allora per me quasi incomprensibili. (…)
“Voi non vi rendete conto della vostra situazione. Voi siete in prigione e tutto ciò che potete desiderare, se avete del buon senso, è di evadere. Ma come evadere ? Occorre perforare un muro, scavare una galleria. Un uomo solo non può fare niente, ma supponete che siano dieci o venti e che lavorino a turno; assistendosi l’un l’altro, possono finire la galleria ed evadere.
(…) Ma un prigioniero isolato non può… . E’ necessaria una organizzazione. Nulla può essere portato a termine senza una organizzazione”.
(…) …ogni prigioniero può trovare un giorno la sua possibilità di evasione, a condizione, beninteso, che egli sappia rendersi conto di essere in prigione. Ma fintanto che non riesce a rendersene conto, fino a quando si crede libero, quale possibilità potrà avere ? Non si può cooperare con la forza alla liberazione di un uomo che non vuole essere libero, che anzi desidera assolutamente il contrario. La liberazione è possibile, ma esclusivamente come risultato di fatiche prolungate, di grandi sforzi e, soprattutto, di sforzi coscienti verso uno scopo definito”.
(…)