Quanto allego è un mio vecchio articolo. Sono spinto a questa
iniziativa per dimostrare che con una accorta e ONESTA politica si può uscire
dall’attuale crisi. Si tenga presente che validi studiosi hanno attestato che
la crisi del 1929 fu peggiore dell’attuale. Dato che in economia le soluzioni
per abbattere una recessione non cambiano negli anni, domando: perché non
adottare gli stessi principi (parlo di PRINCIPI) che furono usati negli anni ’30 da Mussolini
e dai suoi ministri?
Sapete che nella legge di stabilità (finanziaria) varata in questi
giorni dal governo Letta prevede: 1) 100 mila Euro per la Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea; 900 mila
Euro sono stati destinati al Binario 21 di
Milano (luogo collegato allo Shoah)
e, addirittura 2,5 milioni di Euro per la “lotta
al nazifascismo”!!!!
E noi paghiamo!
Ed ora, Vi prego leggete!
CHE COSA UNISCE E CHE COSA DIVIDE
IL NEW DEAL E IL
FASCISMO
SE E’ IL
CONFRONTO CHE CONVINCE
di Filippo Giannini
Domenica 14 novembre
2010 Sergio Romano nella rubrica Lettere al Corriere, con il titolo
sopra indicato, ha risposto al lettore, Sig.Mario Russo, sull’argomento New
Deal – Fascismo. E una materia che richiederebbe molto più spazio di
quanto ne possiamo disporre, tuttavia ci avventureremo augurandoci, dato il
grande interesse dell’argomento, di tornare a trattarlo di nuovo quanto prima.
Il mondo
economico-finanziario così come lo conosciamo oggi, poggia su due pilastri:
liberale in politica e liberista in economia. Il liberismo (o liberismo
economico) è una teoria economica, filosofica e politica che prevede la
libera iniziativa e il libero commercio, mentre l’intervento dello Stato si
limita al massimo alla costruzione di adeguate infrastrutture (strade, ferrovie
ecc) che possano favorire il commercio. Questo il concetto di liberismo
secondo Wikipedia. Adam Smith (1723-1790) generalmente ritenuto il
padre dell’economia politica moderna, considera come fine di tutta l’attività
economica l’interesse personale. Per Adam Smith principio essenziale è nessun
intervento dello Stato in campo economico. Lo Stato deve lasciar fare,
lasciar passare.
Questi essenziali
concetti illustrano la sostanziale differenza con il nazionalfascismo che
patrocinava la nuova concezione del lavoro e dell’economia,
concetti che si stavano espandendo in tutto il globo sulla scia del fascismo
italiano e del nazionalsocialismo germanico, in mortale contrasto con il
liberismo dei Paesi democratici, principalmente della Gran Bretagna, della
Francia e, soprattutto di quel Paese dove i concetti di Adam Smith, partorirono
la grande crisi del 1929, gli Stati Uniti d’America. Può sembrare un
paradosso, eppure proprio questo Paese dovette accettare i concetti degli Stati
totalitari per uscire dalla grande crisi.
I principi
fondamentali dello Stato Corporativo nascono dalla Carta del
Carnaro promulgata l’8 settembre 1920 da Alceste De Ambris e da Gabriele
D’Annunzio. E sufficiente leggere gli articoli VI e IX della Carta del
Carnaro per acquisire le profonde differenze che la separano dai concetti
di Adam Smith. Art. VI: <La Repubblica (la Carta del
Carnaro fu concepita nel corso dell’impresa di Fiume, nda)
considera la proprietà come una funzione sociale, non come un assoluto diritto
o privilegio individuale. Perciò il solo titolo legittimo di proprietà su
qualsiasi mezzo di produzione e di scambio è il lavoro che rende la proprietà
stessa fruttifera a beneficio dell’economia generale>. Art. IX,
definitivamente corretto da D’Annunzio: <Lo Stato non riconosce la
proprietà come il dominio assoluto della persona sulla cosa, ma la considera
come la più utile delle funzioni sociali. Nessuna proprietà può essere
riservata alla persona quasi fosse una sua parte; né può essere lecito che tal
proprietario infingardo la lasci inerte o la disponga malamente, ad esclusione
di ogni altro>.
Riteniamo che la Carta
del Carnaro costituisca il documento fondamentale del Corporativismo
moderno originato dalle concezioni storiche di Mazzini e di Toniolo sostenitori
della superiorità della morale sull’economia, principi basilari della
politica mussoliniana.
Altra tappa basilare
della formulazione corporativa fu l’enunciazione, presentata il 21 aprile 1927,
della Carta del Lavoro con la quale, per la prima volta nel mondo,
venivano fissati i cardini del rapporto fra lavoro, produzione ed economia
nazionale, nella formula lavoro protagonista e capitale strumento.
Mentre nei Paesi ad
economia liberale i suicidi a causa della grave crisi del 1929 si contavano a
decine, l’Italia stava superando la congiuntura senza eccessivi drammi.
Franklin D. Roosevelt era stato eletto Presidente degli Stati Uniti a marzo del
1933, periodo nel quale un americano su quattro era disoccupato ed esattamente
nel momento in cui in Italia veniva concepito l’IRI (l’IMI fu costituita nel
1931) sotto la guida di Alberto Beneduce. Con la nascita dell’IRI vennero
gettate le premesse dello Stato imprenditore e con questo furono definite le
linee di demarcazione tra l’area pubblica e quella privata.
Torniamo a
Roosevelt. Questi aveva impostato la campagna elettorale all’insegna del New
Deal, ossia ad un vasto intervento statale in campo economico, ossia
proponendo un’alternativa al liberismo capitalista. Una volta eletto Roosevelt
(e questo nel dopoguerra venne accuratamente nascosto) inviò, nel 1934, in
Italia Rexford Tugwell e Raymond Moley, due fra i suoi più preparati uomini del
Brain Trust per studiare il miracolo italiano.
E allora, per
tornare al titolo di questo pezzo e di Sergio Romano Che cosa
unisce e cosa divide il New Deal e il Fascismo, riprendiamo uno stralcio
del lavoro di Lucio Villari: <Tugwell e Moley, incaricati alla
ricerca di un metodo di intervento pubblico e di
diretto impegno dello Stato che, senza distruggere il carattere privato del
capitalismo, ne colpisse la degenerazione e trasformasse il mercato
capitalistico anarchico, asociale e incontrollato, in un sistema sottoposto
alle leggi e ai principi di giustizia sociale e insieme di efficienza
produttiva>. Roosevelt inviò Rexford Tugwell a Roma per incontrare
Mussolini e studiare da vicino le miracolose realizzazioni del Fascismo. Ecco
come Lucio Villari ricorda il fatto tratto dal diario inedito di Rexford
Tugwell in data 22 ottobre 1934 (Anche l’Economia Italiana tra le due
Guerre, ne riporta alcune parti; pag. 123): <Mi dicono che
dovrò incontrarmi con il Duce questo pomeriggio… La sua forza e intelligenza
sono evidenti come anche l’efficienza dell’amministrazione italiana, è il più
pulito, il più lineare, il più efficiente campione di macchina sociale che
abbia mai visto. Mi rende invidioso… Ma ho qualche domanda da fargli che
potrebbe imbarazzarlo, o forse no>.
Mussolini, a sua
volta, inviò a Washington il Ministro delle Finanze Guido Jung il quale
incontrato il Presidente americano gli fece dono di due Codici di Virgilio e di
Orazio e, nel contesto consegnò a Roosevelt una lettera del Duce. Il documento
relativo a questo contatto Mussolini-Roosevelt, ci fa sapere Villari, è
custodito in copia nell’Archivio Jung, il cui originale, come il diario inedito
di Tugwell, si trova nella Roosevelt Library.
Tra i liberals
d’America le opinioni erano divise: una rivista come The Nation,
fortemente conservatrice, era duramente antifascista. Gli economisti
pianificatori del New Deal vedevano nel corporativismo il
coordinamento economico statale necessario davanti alla bancarotta del lassez-faire
liberista. Così nel 1933 Roosevelt firmò il First New Deal, e il Second
New Deal venne firmato nel 1934-1936. Quindi fu Franklin D. Roosevelt ad
istituire il Social Security Act, una legge che introduceva,
nell’ambito del New Deal, indennità di disoccupazione, di malattia e
di vecchiaia. Contemporaneamente nacque anche il programma Aid to Family
with Dependent Children (aiuto alle famiglie con figli a carico), tutti
provvedimenti che avevano già visto la luce in Italia nel Ventennio fascista.
Subito dopo la Corte Costituzionale degli Usa, decretò l’incostituzionalità di
alcuni provvedimenti. E Sergio Romano chiude il suo intervento con queste
parole: <Da questo momento l’Italia e l’America presero, non solo
economicamente, strade diverse>.
Noi non crediamo di
poter chiudere con queste parole, ma con quelle di Bernhar Shaw nel 1937: <Le
cose da Mussolini già fatte lo condurranno prima o poi ad un serio conflitto
con il capitalismo>.
Non si dovranno
attendere molti anni prima che la profezia dello scrittore americano si
avverasse.
Non a caso di fronte alla
confermata crisi del liberismo e del marxismo, un autorevole personaggio
democratico inglese Michael Shanks, economista di vasta esperienza
internazionale, già direttore della Commissione Europea degli Affari
Sociali, nonché Presidente del Consiglio dei Consumi, indica nel
suo libro What is the wrong with the modern World? Lo Stato
Corporativo di Mussolini come l’unico metodo per uscire dalla contrapposizione
violenta delle parti sociali. <Non c’è alternativa>,
ammonisce l’economista inglese: <O lo Stato Corporativo o lo sfascio
dello Stato>.
Che ne penserà
Sergio Romano?