RIPENSARE L’UOMO
UNA BREVE RIFLESSIONE ANTROPOLOGICA POST MODERNA
Vi sarà capitato di fermarvi davanti ad una foresta, di quelle
veramente massicce, fitte, dagli alberi ad alto fusto. Una di quelle
che, solo a guardarla ti ci senti già perduto, travolto da un insolito e
sconosciuto timore. Timore di quei bui accessi, dentro ai quali può
nascondersi chissà chi o che. Ma poi vedrete che a quel timore
andrà man mano sostituendosi una strana attrazione, una
irrefrenabile voglia di entrare a far parte di quella verde oscurità, di
salire sulla cima di quegli alberi, sino ad immedesimarsi con quel
verde oceano...E’ una sensazione arcana e misteriosa, che ci può
cogliere ogni qualvolta ci si soffermi ( come è accaduto a chi
scrive, in quel del Brasile) a contemplare una foresta tropicale.
Quel manto verde scuro, si fa così ieratico portatore di un richiamo
senza tempo, che ci pone una domanda che, dall’atemporalità del
suo porsi ci rilancia nel vorticoso succedersi delle umane
vicissitudini. Da dove viene l’uomo e qual è il suo ruolo oggi? Una
domanda che, specialmente alla luce dell’attuale contesto epocale
riveste una sua particolare importanza. Il tema delle origini e della
possibilità di un loro almeno parziale disvelamento, dovrebbe
costituire il propellente ed il viatico in grado di dare un giusto senso
ed indirizzo al futuro. A voler proprio guardare le cose alla lontana,
sono suppergiù due secoli che due scuole di pensiero si
contendono, a tal proposito, il proscenio. Da una parte gli inveterati
fautori di un modello meccanicistico-casualistico che vede
l’apparire delle varie specie viventi, uomo incluso, come il frutto di
un cieco meccanismo di adattamento e selezione, proteso ad un
continuo ed indefinito miglioramento. Qui l’uomo è visto come frutto
dell’esaltante percorso evolutivo, che ha portato d’improvviso
l’umile scimmietta a trasformarsi nell’ invitto dominatore dell’orbe
terracqueo, riconfermando in tal modo il principio che “gli ultimi
saranno i primi”, i poveri e i diseredati (le scimmiette del nostro
caso, sic!) si trasformeranno in padroni, nel nome di una nemesi
storica che partendo dai primordi dell’uomo, si vorrebbe far arrivare
alla lotta di classe. Dall’altra parte invece, si continua a perseguire
una interpretazione letteralista dei Libri Sacri, frammischiata ad
una quanto mai confusa e rabberciata presunzione
antropocentrica, in grazia della quale l’uomo non può discendere
da una bestiaccia quale la scimmia, anzi, a dir di qualcuno, le
povere bestiole altri non sarebbero che la degenerata espressione
vivente di alcuni individui di bassa lega e l’uomo sarebbe il diretto
frutto della divina creazione con acqua e argilla, così come
prospettato da quei Sacri Testi. Diciamo intanto che la scienza
ufficiale, sfrondate le semplificazioni del primo evoluzionismo, che
vedeva l’uomo nel ruolo di diretto discendente di primati quali
scimpanzé e simili, in base a tutta una serie di scoperte e di
ritrovamenti, ha cominciato a vedere le cose pressappoco in
questo modo: svariati milioni di anni fa in un’area definita
“antropofiletica”, comprendente una zona che va dall’Africa
Orientale all’India Occidentale, allora ricoperta da foreste tropicali,
vivevano delle strane ed arcaiche scimmiette chiamate”proconsul”,
“oreopitechi” e “ramapitechi”, la cui tendenza a permanere erette
sulle zampe posteriori era più marcata rispetto ad altre, similari
specie. Ora, a causa di quel sommovimento geologico che avrebbe
determinato la nascita della “Rift Valley” (un profondo avvallamento
sormontato da montagne, che va dall’Etiopia al Kenya, sic!), si
sarebbero determinate due diverse aree climatiche: da una parte,
verso occidente sarebbe rimasta la foresta tropicale, dall’altra,
verso oriente, si sarebbe formata una sconfinata savana. Oltre ad
una differente caratterizzazione climatica e paesaggistica, le due
aree avrebbero conosciuto lo sviluppo differenziato di varie specie
animali, tra cui le nostre scimmiette. La scomparsa delle fitte
foreste tropicali avrebbe, difatti, favorito l’andatura bipede di queste
ultime, atta alla più facile reperibilità di cibo, provocandone una
graduale, ma significativa, mutazione. Il lungo cammino verso
l’Uomo, così come lo conosciamo oggi, sarebbe poi passato
attraverso l’Australopiteco e via via attraverso una grande varietà
di pre ominidi, sino ai nostri più somiglianti antenati ominidi Pre
Sapiens, gli Homo Abilis, gli Homo Erectus, i Cro Magnon, i
Neanderthal e via discorrendo, sino all’attuale Sapiens Sapiens.
Un cammino lungo, dunque, tra l’altro costellato da una miriade di
specie e sottospecie, con una tale sequenza di involuzioni,
estinzioni, apparizioni e migrazioni, da far ripensare profondamente
l’intero schema tassonomico che, sinora, l’aveva fatta da padrone.
Un ripensamento che, ad onor del vero, riguarda tutte le scienze
umane e che, nel contesto dell’antropologia, ha i propri natali nel
grande contrasto emerso alla fine del 19° secolo quando, accanto
all’indirizzo di pensiero evoluzionista rappresentato dai Darwin, dai
Tylor, dai Frazer e dai Morgan, tutto imperniato su un modello di
sviluppo eguale per tutte le latitudini umane,( sia che questo
riguardasse l’evoluzione fisica della specie umana (Darwin), che
quella culturale (Tylor), che quella religiosa (Frazer), che quella
tecnologica (Morgan) ), si affiancò un indirizzo che, non credendo
alla simultaneità dello sviluppo umano, ne teorizzò piuttosto la
diffusione da un determinato luogo o ambito etnico che dir si voglia
al mondo intero, il “diffusionismo” appunto. A cominciare furono gli
studi dei Bopp, dei fratelli Grimm, sino ad arrivare ai Boas, agli
Smith, ai Perry ed al funzionalismo di Malinowski. Una crisi che
prende le mosse ed acquisice forza proprio nell’ultimo tratto del 19°
secolo, con la prima grande crisi del Positivismo ottocentesco, di
stampo evoluzionista. Gli ulteriori decenni del secolo passato, sino
ad oggi, a proposito della ricerca sulle origini dell’uomo, vanno
arricchendosi di una impressionante serie di scoperte che spaziano
sia dalla più classica ricerca paleo-antropologica, che dai
progressi della ricerca spaziale applicata alla climatologia, dagli
spettacolari progressi della genetica, sino ad arrivare alle ultime
novità nella ricerca storica ed archeologica. Tutte queste branche
del sapere e le loro relative scoperte ed applicazioni, portano tutte
irrevocabilmente in direzione di una inarrestabile retrodatazione
della storia delle origini dell’uomo e del successivo sviluppo della
sua civiltà. Oggi i resti di Australopithecus Afarensis datano a 4,5
milioni di anni fa mentre, come abbiamo già visto, la discendenza
diretta dell’uomo dalle scimmie antropomorfe viene messa in
discussione, in favore di una comune discendenza da un ramo
comune di Primati (le cosiddette scimmie “Catarrine”), le quali
avrebbero trovato le proprie origini in specie insettivore semi-
arboricole, quali il ”Purgatorius” risalenti addirittura alla fine del
Mesozoico (all’incirca 70 milioni di anni fa, in coabitazione con i
Dinosauri, sic!) ed ancor oggi rappresentate dalle Tupaie, e che
avrebbero via via generato le Proscimmie allora rappresentate
dagli “Adapis” (progenitori degli attuali Lemuri), poi
improvvisamente sostituite, all’incirca 40 milioni di anni fa, dalle
due grandi famiglie di Primati: le già citate scimmie Catarrine, cioè
“dal naso stretto” e le Platirrine, “dal naso largo”. Apparse
ambedue nell’emisfero nord del mondo, le due specie di Primati
sarebbero poi migrate verso il sud del mondo, dando luogo a due
diverse vicende. Mentre le Platirrine, si sarebbero stanziate in
America latina, dando vita a tutte le specie tuttora viventi di Primati
arboricoli, le Catarrine sarebbero emigrate in Asia, da cui
successivamente avrebbero mosso verso l’Africa, dando luogo ai
Driopitecidi (tra cui il famoso Proconsul), un’altra strana specie di
scimmiette, ad ora considerate le progenitrici delle scimmie
antropomorfe e dell’uomo, mentre il famoso Ramapiteco sarebbe
stato ricollocato su una linea evolutiva differente dal philum diretto
con l’uomo. Stesso destino sarebbe toccato al famoso “Uomo di
Neanderthal”, sino a poco tempo fa considerato un rozzo
progenitore del Sapiens ed invece ora ritenuto il frutto di un ramo
evolutivo parallelo a quello dei Sapiens, animato da una cultura di
una certa complessità, poi estintosi senza lasciar tracce genetiche
riscontrabili. Il tutto, all’insegna di due fondamentali fattori
precedentemente citati: il primo, desumibile dalle scoperte di cui
abbiamo trattato, ci delinea una comune area di provenienza
geografica , (almeno per quanto riguarda gli inizi) della specie
umana, la cosiddetta “area antropofiletica”, collocabile tra Africa
Sud Orientale e Sub continente indiano. Il secondo, rimarca la
discontinuità del processo evolutivo, il cui “philum” è sempre più
concepito come un procedere “a cespuglio”, in un continuo
alternarsi di evoluzioni, regressi ed improvvise estinzioni, anzichè
secondo un moto di unilineare progresso. Le stesse ricerche nel
campo della genetica dei vari Cavalli-Sforza, accanto alla
mappatura del genoma, ci stanno aiutando a capire la dinamica dei
cambiamenti e degli spostamenti di popolazioni e razze. Allo
stesso modo, le recenti scoperte archeologiche del complesso
templare di Gobekli Tepe in Turchia, datato a 9.600 anni prima di
Cristo e la misteriosa piramide subacquea di Yonaguni in
Giappone, (tanto per citare solo due tra gli esempi più eclatanti,
sic!) contribuiscono a retrodatare di molto sia la nascita della civiltà
che, infine, quella della specie umana stessa. Un ulteriore ed
inaspettato contributo alla questione, lo darà la filosofia del
Novecento, anzitutto per bocca di Heidegger, con la sua questione
della “Lichtung” o “illuminazione” dell’Essere dinnanzi all’uomo. Per
il grande pensatore tedesco, difatti, l’uomo è “gettato” nella grande
radura dell’Essere di cui prende coscienza, come a dire che senza
l’umana coscienza l’Essere non ha luogo, non s’illumina. Dunque
tra l’uomo e l’Essere vi è un rapporto di misteriosa mutualità ed
interdipendenza, che fa sì che ci si ponga la domanda su come
tale illuminazione avvenga e da dove venga il fenomeno “uomo”.
Chiaramente, a porsi tale domanda non è il solo Heidegger.
Diciamo però che il grande pensatore tedesco pone questa
domanda alla luce della filosofia esistenziale (di cui è uno dei
principali, se non il maggiore, tra gli esponenti). Non solo. Agli inizi
del Novecento, un anatomista olandese, Louis Bolk, prendendo
spunto dai suoi studi sull’anatomia dei Primati, elabora una teoria
sulla “fetalizzazione” e sulla “neotenia”. In pratica, partendo
dall’osservazione del comportamento del messicano “Axolotl”, (una
varietà di salamandra che, in mancanza di iodio rimane allo stadio
di girino, riuscendo anche a riprodursi), si arriva alla conclusione
che l’uomo altri non sia che un essere rimasto allo stadio di
immaturità, rispetto agli altri rappresentanti del regno animale. Da
queste osservazioni prendono spunto le successive elaborazioni
teoriche di Arnold Gehlen, Helmuth Plessner, Max Scheler e Peter
Sloterdjik. Nel primo è presente l’idea di “esonero”, quale opzione
comportamentale che permette ad un essere come l’uomo una
risposta agli stimoli dell’ambiente slegata dai condizionamenti di
quest’ultimo, attraverso la “tecnica” intesa come possibilità di
manomettere l’ambiente circostante. In Plessner è presente l’idea
di uomo come essere “eccentrico/ex-centrico”, ovvero non
incentrato sulla propria istintualità, come gli altri animali, mentre in
Scheler l’uomo si fa “epochè/sospensione” poiché, in quanto
essere in grado di negare, sospende il naturale scorrere del
mondo. Ancor più intrigante, a questo punto, è l’analisi del filosofo
tedesco contemporaneo Peter Sloterdjik. Partendo da “Lettera
sull’Umanismo” di Heidegger, Sloterdijk sviluppa la sua idea
sull’uomo quale prodotto, aperto ad ulteriori modificazioni,
di meccanismi antropogenici. Osservando come nella “Lettera
sull’umanismo” Heidegger, andando ben oltre la sua preferenza
per la relazione tra l’Essere ed il Tempo, elabori, attraverso
l’immagine del passaggio dall’ambiente al mondo, l’idea di
una casa dell’essere, dell’esistenza intesa come abitare. Da qui
l’idea di “sfera”, mutuato dal concetto platonico di “chora”, inteso
quale incubatrice delle forme e dei comportamenti dell’agire
animale ed umano. Attraverso ed all’interno di esse si sarebbe
realizzato il lungo processo dell’ominazione, che avrebbe visto il
succedersi alle modalità corporeo-animali, quelle simbolico-umane.
A detta di Sloterdjik, la “Lichtung/Illuminazione” si sarebbe
realizzata grazie all’azione combinata di quattro meccanismi
“antropogenici”. Per farla breve, le “sfere” nell’isolare l’essere
umano da un ambiente ostile (meccanismo di insulizzazione), ne
favoriscono l’ominazione con la conseguente capacità di poter
usare gli arti in una maniera tale da poter modificare l’ambiente a
piacimento (meccanismo di liberazione dai limiti del corporeo). Tali
capacità vengono raffinate ed amplificate dalla prolungata infanzia
e dalla persistente immaturità fisica del genere umano
(meccanismo della neotenia) che, di tale apparente debolezza,
finirà con il fare un punto di forza talmente soverchiante e
tendenzialmente in grado di autodistruggerlo, da dover poi creare
dei meccanismi di riequilibrio e protezione rappresentati dalle varie
sovrastrutture culturali, religiose o mitiche che dir si voglia
(meccanismo della trasposizione). Da tutte queste analisi ,
incentrate sull’idea dell’uomo quale essere carente rispetto agli
altri appartenenti al mondo animale, traspare un percorso di
riflessione “deviante”, rispetto ai dettami del classico scientismo
positivista (che tuttora furoreggia nelle sue più adulterate versioni
neodarwiniste). L’idea di uno strano essere dall’infanzia
prolungata, la cui debolezza si fa punto di forza estremo, stravolge
il paradigma evoluzionista incentrato sull’idea di un progressivo
adattamento e miglioramento delle specie viventi rispetto agli
stimoli ambientali. Ci si ritrova di nuovo dinnanzi ad una vicenda il
cui inizio sembra allontanarsi nelle nebbie di un tempo senza fine.
L’antenato, il progenitore comune, l’ “anello mancante”, sfuggono
alla vista; quando sembrava di averli trovati, ecco che nuove
scoperte rimettono il tutto in discussione, retrodatando
ulteriormente il calendario. Vi sono teorici come Michael Cremo e
come Pino Sermonti che sostengono invece la presenza umana
sulla Terra, risalga a milioni di anni fa, addirittura antecedente a
quella delle scimmie antropomorfe; ma chiaramente queste ed
altre consimili teorie non sono supportate da alcuna prova e sono
pertanto prive di fondamento scientifico. Diciamo pure che è l’intera
scienza a necessitare di una radicale e profonda reinterpretazione,
proprio perché la sua meccanicistica interpretazione finisce con il
condurre a dei veri e propri vicoli ciechi, come in questo caso. A
venirci in aiuto, gli stimoli e le suggestioni offertici dai
rappresentanti di quel pensiero vitalista che, a partire dal 19°
secolo percorre l’occidente come un fiume carsico. Schopenauer in
“Il mondo come volontà e rappresentazione” ci parla di un mondo
animato da un’irrazionale volontà che, come un misterioso filo
elettrico percorre l’intero Essere in tutte le sue manifestazioni,
animate od inanimate che siano. Tutto è mosso da questa unica,
gigantesca pulsione, alla base della quale sta un irrazionale iato
verso la vita. Tale idea andrà poi ad incardinarsi nel pensiero di
Nietzsche che, abbandonate le suggestioni metafisiche e
consolatorie schopenaueriane mutuate dalle suggestioni del
pensiero Indù (i Veda e le Upanishad in ispecial modo, sic!), darà
al proprio pensiero un’impronta più marcatamente vitalista e
volontarista dello stesso Schopenauer. L’idea di un mondo come
Caos, all’interno del quale solo la volontà e la capacità di
adattamento la fanno da padrone, la complessa relazione tra
Essere ed Io, ma anche la inusitata capacità di sopportare e di
vivere appieno l’irrefrenabile ciclo degli eventi che caratterizzano il
Caos-Mondo, costituiscono le principali tracce che daranno forma
e sostanza al pensiero vitalista degli anni a venire, da Dilthey a
Simmel, da Bergson a Spengler, da Husserl a Von Uexkull,
passando per Scheler, Heidegger ed altri ancora. Il mondo è
irrazionale ed insensata volontà e spinta alla vita ed
all’autoaffermazione del Sé, ma non è assolutamente il meccanico
e materialistico succedersi di eventi, unicamente regolato da un
elementare istinto di sopravvivenza, successivamente interpretato
e sviluppato in un volgare e smisurato appetito materiale. E qui
viene in gioco l’interpretazione, anch’essa errata, che negli ultimi
duemila anni è stato conferito al termine “materia”. La visione
cosmologica che presiedeva il mondo antecedente alla riflessione
filosofica di Platone, faceva della materia un tutt’uno con l’intero
mondo di cui costituiva un insostituibile annesso, all’interno e sopra
la quale scorrevano le vicende umane e divine. Gea ed Urano,
Terra e Cielo, anche se successivamente sostituite dal più
elaborato Pantheon olimpico, costituirono un elemento primario
dello svolgersi dell’intero dramma cosmico. Ninfe, driadi, boschi
sacri, divinità marine e fluviali, fanno del mondo e dei suoi elementi
costitutivi cosa sacra, intoccabile. La stessa riflessione pre
socratica, fa della combinazione degli elementi la base, l’a-priori
del mondo; lo stesso Anassimandro fa dell’ “apeiron/infinito” la
sacra sostanza che presiede all’ordine del mondo. Sarà la sintesi
platonica volta a fare dell’ “Idea/Idèin-vedere”, la chiave di
interpretazione e semplificazione della realtà, collocando la materia
in una posizione subordinata, svilendone il ruolo. L’idea stessa di
Demiurgo, quale mediatore ed ordinatore nel ruolo di dare corpo
alle idee nell’informe mondo della materia, riconferma quanto qui
sinora detto. Ed allora, solo se saremo in grado di intepretare in
una nuova chiave di lettura, al di là di certo dualismo, l’intera
vicenda cosmica, allora arriveremo a capire o, quanto meno a dare
un senso alla vicenda umana sin dal suo più lontano passato ad
ora e, chissà, anche al suo futuro. Allora quel neotenico “puer
aeternus”, tanto caro a certa parte di scienza del 20°secolo, non
sarà più l’immagine di un fantascientifico scherzo di madre natura.
Allora, tutte quelle strane scimmiette dagli impronunciabili nomi
latini, non saranno più la malconcia parodia della razza umana.
Allora capiremo che, forse, lo smarrimento del senso dell’Essere,
di cui tanto ci parla Heidegger, è iniziata ben prima della riflessione
platonica. Essa è probabilmente coeva all’uomo ed alla sua
ominazione, determinata dal dono di quella Techne, con cui poter
modificare la circostante realtà a proprio piacimento. Allora
comprenderemo la nostalgia di un Paradiso Perduto, quel senso di
“estasi/ec-stasis”, ricorrente un po’ ovunque nelle mitologie e nei
credi religiosi di mezzo mondo. Essa è il ricordo del senso di
immedesimazione con l’Essere intero, con quella Natura Naturans,
all’interno della quale l’uomo (o i suoi presunti progenitori) viveva in
un rapporto di stretta osmosi. Allora capiremo quel senso di
smarrimento, ma anche di strana nostalgia, che ci prende ogni
qualvolta sostiamo dinnanzi ad una foresta o ad un qualsiasi altro
scenario di Madre Natura. Quel senso che ci dice che, laggiù nella
foresta, abbiamo lasciato qualcosa di prezioso. Qualcosa che ci
appartiene e che ora, giunti ad una fase tanto cruciale della nostra
civiltà, sarebbe ora di recuperare.
UMBERTO BIANCHI
Bibliografia:
Maria Teresa Pansera, Antropolologia filosofica, Bruno Mondadori,
2001.
A.Gehlen, L'Uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo', Mimesis
2010, v. introduzione a cura di Karl-Siegbert Rehberg
Helmuth Plessner I gradi dell'organico e l'uomo. Introduzione
all'antropologia filosofica, Bollati
Boringhieri, 2006. Oreste Tolone, Plessner, Heidegger e l'antropologia
filosofica, in Antropologia filosofica, Morcelliana, Brescia 2010
Max Scheler La posizione dell'uomo nel cosmo (1927 su rivista, 1928
come libro), a cura di G. Cusinato, FrancoAngeli, Milano 2000, V ed.
Peter Sloterdijk Sfere / Globi vol. 2. 2014, Raffaello Cortina,
Sfere / Schiume vol. 3. 2015, trad. it. di Gianluca Bonaiuti e Silvia
Rodeschini, Raffaello Cortina
Martin Heidegger Che cos'è la metafisica?, Collana Pensatori antichi e
moderni, La Nuova Italia, Firenze 1959; a cura di Armando Carlini, La
Nuova Italia, 1979-1996 Lettera sull'"umanismo" , Adelphi
Arthur Schopenhauer Il mondo come volontà e rappresentazione,
Introduzione di Marcella D'Abbiero, trad. di Gian Carlo Giani, Newton
Compton Editori, Roma 2011
Michael A. CremoThompson, Richard L.; Cremo, Michael A.
(1993). Archeologia proibita: la storia nascosta della razza umana (1a
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Wilhelm Dilthey A. Marini, Alle origini della filosofia contemporanea: W.
Dilthey, Firenze, 1984