venerdì 1 ottobre 2021

RIPENSARE L’UOMO

 RIPENSARE L’UOMO

UNA BREVE RIFLESSIONE ANTROPOLOGICA POST MODERNA

Vi sarà capitato di fermarvi davanti ad una foresta, di quelle

veramente massicce, fitte, dagli alberi ad alto fusto. Una di quelle

che, solo a guardarla ti ci senti già perduto, travolto da un insolito e

sconosciuto timore. Timore di quei bui accessi, dentro ai quali può

nascondersi chissà chi o che. Ma poi vedrete che a quel timore

andrà man mano sostituendosi una strana attrazione, una

irrefrenabile voglia di entrare a far parte di quella verde oscurità, di

salire sulla cima di quegli alberi, sino ad immedesimarsi con quel

verde oceano...E’ una sensazione arcana e misteriosa, che ci può

cogliere ogni qualvolta ci si soffermi ( come è accaduto a chi

scrive, in quel del Brasile) a contemplare una foresta tropicale.

Quel manto verde scuro, si fa così ieratico portatore di un richiamo

senza tempo, che ci pone una domanda che, dall’atemporalità del

suo porsi ci rilancia nel vorticoso succedersi delle umane

vicissitudini. Da dove viene l’uomo e qual è il suo ruolo oggi? Una

domanda che, specialmente alla luce dell’attuale contesto epocale

riveste una sua particolare importanza. Il tema delle origini e della

possibilità di un loro almeno parziale disvelamento, dovrebbe

costituire il propellente ed il viatico in grado di dare un giusto senso

ed indirizzo al futuro. A voler proprio guardare le cose alla lontana,

sono suppergiù due secoli che due scuole di pensiero si

contendono, a tal proposito, il proscenio. Da una parte gli inveterati

fautori di un modello meccanicistico-casualistico che vede

l’apparire delle varie specie viventi, uomo incluso, come il frutto di

un cieco meccanismo di adattamento e selezione, proteso ad un

continuo ed indefinito miglioramento. Qui l’uomo è visto come frutto

dell’esaltante percorso evolutivo, che ha portato d’improvviso

l’umile scimmietta a trasformarsi nell’ invitto dominatore dell’orbe

terracqueo, riconfermando in tal modo il principio che “gli ultimi

saranno i primi”, i poveri e i diseredati (le scimmiette del nostro

caso, sic!) si trasformeranno in padroni, nel nome di una nemesi

storica che partendo dai primordi dell’uomo, si vorrebbe far arrivare

alla lotta di classe. Dall’altra parte invece, si continua a perseguire

una interpretazione letteralista dei Libri Sacri, frammischiata ad

una quanto mai confusa e rabberciata presunzione

antropocentrica, in grazia della quale l’uomo non può discendere

da una bestiaccia quale la scimmia, anzi, a dir di qualcuno, le

povere bestiole altri non sarebbero che la degenerata espressione

vivente di alcuni individui di bassa lega e l’uomo sarebbe il diretto

frutto della divina creazione con acqua e argilla, così come

prospettato da quei Sacri Testi. Diciamo intanto che la scienza


ufficiale, sfrondate le semplificazioni del primo evoluzionismo, che

vedeva l’uomo nel ruolo di diretto discendente di primati quali

scimpanzé e simili, in base a tutta una serie di scoperte e di

ritrovamenti, ha cominciato a vedere le cose pressappoco in

questo modo: svariati milioni di anni fa in un’area definita

“antropofiletica”, comprendente una zona che va dall’Africa

Orientale all’India Occidentale, allora ricoperta da foreste tropicali,

vivevano delle strane ed arcaiche scimmiette chiamate”proconsul”,

“oreopitechi” e “ramapitechi”, la cui tendenza a permanere erette

sulle zampe posteriori era più marcata rispetto ad altre, similari

specie. Ora, a causa di quel sommovimento geologico che avrebbe

determinato la nascita della “Rift Valley” (un profondo avvallamento

sormontato da montagne, che va dall’Etiopia al Kenya, sic!), si

sarebbero determinate due diverse aree climatiche: da una parte,

verso occidente sarebbe rimasta la foresta tropicale, dall’altra,

verso oriente, si sarebbe formata una sconfinata savana. Oltre ad

una differente caratterizzazione climatica e paesaggistica, le due

aree avrebbero conosciuto lo sviluppo differenziato di varie specie

animali, tra cui le nostre scimmiette. La scomparsa delle fitte

foreste tropicali avrebbe, difatti, favorito l’andatura bipede di queste

ultime, atta alla più facile reperibilità di cibo, provocandone una

graduale, ma significativa, mutazione. Il lungo cammino verso

l’Uomo, così come lo conosciamo oggi, sarebbe poi passato

attraverso l’Australopiteco e via via attraverso una grande varietà

di pre ominidi, sino ai nostri più somiglianti antenati ominidi Pre

Sapiens, gli Homo Abilis, gli Homo Erectus, i Cro Magnon, i

Neanderthal e via discorrendo, sino all’attuale Sapiens Sapiens.

Un cammino lungo, dunque, tra l’altro costellato da una miriade di

specie e sottospecie, con una tale sequenza di involuzioni,

estinzioni, apparizioni e migrazioni, da far ripensare profondamente

l’intero schema tassonomico che, sinora, l’aveva fatta da padrone.

Un ripensamento che, ad onor del vero, riguarda tutte le scienze

umane e che, nel contesto dell’antropologia, ha i propri natali nel

grande contrasto emerso alla fine del 19° secolo quando, accanto

all’indirizzo di pensiero evoluzionista rappresentato dai Darwin, dai

Tylor, dai Frazer e dai Morgan, tutto imperniato su un modello di

sviluppo eguale per tutte le latitudini umane,( sia che questo

riguardasse l’evoluzione fisica della specie umana (Darwin), che

quella culturale (Tylor), che quella religiosa (Frazer), che quella

tecnologica (Morgan) ), si affiancò un indirizzo che, non credendo

alla simultaneità dello sviluppo umano, ne teorizzò piuttosto la

diffusione da un determinato luogo o ambito etnico che dir si voglia

al mondo intero, il “diffusionismo” appunto. A cominciare furono gli

studi dei Bopp, dei fratelli Grimm, sino ad arrivare ai Boas, agli


Smith, ai Perry ed al funzionalismo di Malinowski. Una crisi che

prende le mosse ed acquisice forza proprio nell’ultimo tratto del 19°

secolo, con la prima grande crisi del Positivismo ottocentesco, di

stampo evoluzionista. Gli ulteriori decenni del secolo passato, sino

ad oggi, a proposito della ricerca sulle origini dell’uomo, vanno

arricchendosi di una impressionante serie di scoperte che spaziano

sia dalla più classica ricerca paleo-antropologica, che dai

progressi della ricerca spaziale applicata alla climatologia, dagli

spettacolari progressi della genetica, sino ad arrivare alle ultime

novità nella ricerca storica ed archeologica. Tutte queste branche

del sapere e le loro relative scoperte ed applicazioni, portano tutte

irrevocabilmente in direzione di una inarrestabile retrodatazione

della storia delle origini dell’uomo e del successivo sviluppo della

sua civiltà. Oggi i resti di Australopithecus Afarensis datano a 4,5

milioni di anni fa mentre, come abbiamo già visto, la discendenza

diretta dell’uomo dalle scimmie antropomorfe viene messa in

discussione, in favore di una comune discendenza da un ramo

comune di Primati (le cosiddette scimmie “Catarrine”), le quali


avrebbero trovato le proprie origini in specie insettivore semi-

arboricole, quali il ”Purgatorius” risalenti addirittura alla fine del


Mesozoico (all’incirca 70 milioni di anni fa, in coabitazione con i

Dinosauri, sic!) ed ancor oggi rappresentate dalle Tupaie, e che

avrebbero via via generato le Proscimmie allora rappresentate

dagli “Adapis” (progenitori degli attuali Lemuri), poi

improvvisamente sostituite, all’incirca 40 milioni di anni fa, dalle

due grandi famiglie di Primati: le già citate scimmie Catarrine, cioè

“dal naso stretto” e le Platirrine, “dal naso largo”. Apparse

ambedue nell’emisfero nord del mondo, le due specie di Primati

sarebbero poi migrate verso il sud del mondo, dando luogo a due

diverse vicende. Mentre le Platirrine, si sarebbero stanziate in

America latina, dando vita a tutte le specie tuttora viventi di Primati

arboricoli, le Catarrine sarebbero emigrate in Asia, da cui

successivamente avrebbero mosso verso l’Africa, dando luogo ai

Driopitecidi (tra cui il famoso Proconsul), un’altra strana specie di

scimmiette, ad ora considerate le progenitrici delle scimmie

antropomorfe e dell’uomo, mentre il famoso Ramapiteco sarebbe

stato ricollocato su una linea evolutiva differente dal philum diretto

con l’uomo. Stesso destino sarebbe toccato al famoso “Uomo di

Neanderthal”, sino a poco tempo fa considerato un rozzo

progenitore del Sapiens ed invece ora ritenuto il frutto di un ramo

evolutivo parallelo a quello dei Sapiens, animato da una cultura di

una certa complessità, poi estintosi senza lasciar tracce genetiche

riscontrabili. Il tutto, all’insegna di due fondamentali fattori

precedentemente citati: il primo, desumibile dalle scoperte di cui


abbiamo trattato, ci delinea una comune area di provenienza

geografica , (almeno per quanto riguarda gli inizi) della specie

umana, la cosiddetta “area antropofiletica”, collocabile tra Africa

Sud Orientale e Sub continente indiano. Il secondo, rimarca la

discontinuità del processo evolutivo, il cui “philum” è sempre più

concepito come un procedere “a cespuglio”, in un continuo

alternarsi di evoluzioni, regressi ed improvvise estinzioni, anzichè

secondo un moto di unilineare progresso. Le stesse ricerche nel

campo della genetica dei vari Cavalli-Sforza, accanto alla

mappatura del genoma, ci stanno aiutando a capire la dinamica dei

cambiamenti e degli spostamenti di popolazioni e razze. Allo

stesso modo, le recenti scoperte archeologiche del complesso

templare di Gobekli Tepe in Turchia, datato a 9.600 anni prima di

Cristo e la misteriosa piramide subacquea di Yonaguni in

Giappone, (tanto per citare solo due tra gli esempi più eclatanti,

sic!) contribuiscono a retrodatare di molto sia la nascita della civiltà

che, infine, quella della specie umana stessa. Un ulteriore ed

inaspettato contributo alla questione, lo darà la filosofia del

Novecento, anzitutto per bocca di Heidegger, con la sua questione

della “Lichtung” o “illuminazione” dell’Essere dinnanzi all’uomo. Per

il grande pensatore tedesco, difatti, l’uomo è “gettato” nella grande

radura dell’Essere di cui prende coscienza, come a dire che senza

l’umana coscienza l’Essere non ha luogo, non s’illumina. Dunque

tra l’uomo e l’Essere vi è un rapporto di misteriosa mutualità ed

interdipendenza, che fa sì che ci si ponga la domanda su come

tale illuminazione avvenga e da dove venga il fenomeno “uomo”.

Chiaramente, a porsi tale domanda non è il solo Heidegger.

Diciamo però che il grande pensatore tedesco pone questa

domanda alla luce della filosofia esistenziale (di cui è uno dei

principali, se non il maggiore, tra gli esponenti). Non solo. Agli inizi

del Novecento, un anatomista olandese, Louis Bolk, prendendo

spunto dai suoi studi sull’anatomia dei Primati, elabora una teoria

sulla “fetalizzazione” e sulla “neotenia”. In pratica, partendo

dall’osservazione del comportamento del messicano “Axolotl”, (una

varietà di salamandra che, in mancanza di iodio rimane allo stadio

di girino, riuscendo anche a riprodursi), si arriva alla conclusione

che l’uomo altri non sia che un essere rimasto allo stadio di

immaturità, rispetto agli altri rappresentanti del regno animale. Da

queste osservazioni prendono spunto le successive elaborazioni

teoriche di Arnold Gehlen, Helmuth Plessner, Max Scheler e Peter

Sloterdjik. Nel primo è presente l’idea di “esonero”, quale opzione

comportamentale che permette ad un essere come l’uomo una

risposta agli stimoli dell’ambiente slegata dai condizionamenti di

quest’ultimo, attraverso la “tecnica” intesa come possibilità di


manomettere l’ambiente circostante. In Plessner è presente l’idea

di uomo come essere “eccentrico/ex-centrico”, ovvero non

incentrato sulla propria istintualità, come gli altri animali, mentre in

Scheler l’uomo si fa “epochè/sospensione” poiché, in quanto

essere in grado di negare, sospende il naturale scorrere del

mondo. Ancor più intrigante, a questo punto, è l’analisi del filosofo

tedesco contemporaneo Peter Sloterdjik. Partendo da “Lettera

sull’Umanismo” di Heidegger, Sloterdijk sviluppa la sua idea

sull’uomo quale prodotto, aperto ad ulteriori modificazioni,

di meccanismi antropogenici. Osservando come nella “Lettera

sull’umanismo” Heidegger, andando ben oltre la sua preferenza

per la relazione tra l’Essere ed il Tempo, elabori, attraverso

l’immagine del passaggio dall’ambiente al mondo, l’idea di

una casa dell’essere, dell’esistenza intesa come abitare. Da qui

l’idea di “sfera”, mutuato dal concetto platonico di “chora”, inteso

quale incubatrice delle forme e dei comportamenti dell’agire

animale ed umano. Attraverso ed all’interno di esse si sarebbe

realizzato il lungo processo dell’ominazione, che avrebbe visto il

succedersi alle modalità corporeo-animali, quelle simbolico-umane.

A detta di Sloterdjik, la “Lichtung/Illuminazione” si sarebbe

realizzata grazie all’azione combinata di quattro meccanismi

“antropogenici”. Per farla breve, le “sfere” nell’isolare l’essere

umano da un ambiente ostile (meccanismo di insulizzazione), ne

favoriscono l’ominazione con la conseguente capacità di poter

usare gli arti in una maniera tale da poter modificare l’ambiente a

piacimento (meccanismo di liberazione dai limiti del corporeo). Tali

capacità vengono raffinate ed amplificate dalla prolungata infanzia

e dalla persistente immaturità fisica del genere umano

(meccanismo della neotenia) che, di tale apparente debolezza,

finirà con il fare un punto di forza talmente soverchiante e

tendenzialmente in grado di autodistruggerlo, da dover poi creare

dei meccanismi di riequilibrio e protezione rappresentati dalle varie

sovrastrutture culturali, religiose o mitiche che dir si voglia

(meccanismo della trasposizione). Da tutte queste analisi ,

incentrate sull’idea dell’uomo quale essere carente rispetto agli

altri appartenenti al mondo animale, traspare un percorso di

riflessione “deviante”, rispetto ai dettami del classico scientismo

positivista (che tuttora furoreggia nelle sue più adulterate versioni

neodarwiniste). L’idea di uno strano essere dall’infanzia

prolungata, la cui debolezza si fa punto di forza estremo, stravolge

il paradigma evoluzionista incentrato sull’idea di un progressivo

adattamento e miglioramento delle specie viventi rispetto agli

stimoli ambientali. Ci si ritrova di nuovo dinnanzi ad una vicenda il

cui inizio sembra allontanarsi nelle nebbie di un tempo senza fine.


L’antenato, il progenitore comune, l’ “anello mancante”, sfuggono

alla vista; quando sembrava di averli trovati, ecco che nuove

scoperte rimettono il tutto in discussione, retrodatando

ulteriormente il calendario. Vi sono teorici come Michael Cremo e

come Pino Sermonti che sostengono invece la presenza umana

sulla Terra, risalga a milioni di anni fa, addirittura antecedente a

quella delle scimmie antropomorfe; ma chiaramente queste ed

altre consimili teorie non sono supportate da alcuna prova e sono

pertanto prive di fondamento scientifico. Diciamo pure che è l’intera

scienza a necessitare di una radicale e profonda reinterpretazione,

proprio perché la sua meccanicistica interpretazione finisce con il

condurre a dei veri e propri vicoli ciechi, come in questo caso. A

venirci in aiuto, gli stimoli e le suggestioni offertici dai

rappresentanti di quel pensiero vitalista che, a partire dal 19°

secolo percorre l’occidente come un fiume carsico. Schopenauer in

“Il mondo come volontà e rappresentazione” ci parla di un mondo

animato da un’irrazionale volontà che, come un misterioso filo

elettrico percorre l’intero Essere in tutte le sue manifestazioni,

animate od inanimate che siano. Tutto è mosso da questa unica,

gigantesca pulsione, alla base della quale sta un irrazionale iato

verso la vita. Tale idea andrà poi ad incardinarsi nel pensiero di

Nietzsche che, abbandonate le suggestioni metafisiche e

consolatorie schopenaueriane mutuate dalle suggestioni del

pensiero Indù (i Veda e le Upanishad in ispecial modo, sic!), darà

al proprio pensiero un’impronta più marcatamente vitalista e

volontarista dello stesso Schopenauer. L’idea di un mondo come

Caos, all’interno del quale solo la volontà e la capacità di

adattamento la fanno da padrone, la complessa relazione tra

Essere ed Io, ma anche la inusitata capacità di sopportare e di

vivere appieno l’irrefrenabile ciclo degli eventi che caratterizzano il

Caos-Mondo, costituiscono le principali tracce che daranno forma

e sostanza al pensiero vitalista degli anni a venire, da Dilthey a

Simmel, da Bergson a Spengler, da Husserl a Von Uexkull,

passando per Scheler, Heidegger ed altri ancora. Il mondo è

irrazionale ed insensata volontà e spinta alla vita ed

all’autoaffermazione del Sé, ma non è assolutamente il meccanico

e materialistico succedersi di eventi, unicamente regolato da un

elementare istinto di sopravvivenza, successivamente interpretato

e sviluppato in un volgare e smisurato appetito materiale. E qui

viene in gioco l’interpretazione, anch’essa errata, che negli ultimi

duemila anni è stato conferito al termine “materia”. La visione

cosmologica che presiedeva il mondo antecedente alla riflessione

filosofica di Platone, faceva della materia un tutt’uno con l’intero

mondo di cui costituiva un insostituibile annesso, all’interno e sopra


la quale scorrevano le vicende umane e divine. Gea ed Urano,

Terra e Cielo, anche se successivamente sostituite dal più

elaborato Pantheon olimpico, costituirono un elemento primario

dello svolgersi dell’intero dramma cosmico. Ninfe, driadi, boschi

sacri, divinità marine e fluviali, fanno del mondo e dei suoi elementi

costitutivi cosa sacra, intoccabile. La stessa riflessione pre

socratica, fa della combinazione degli elementi la base, l’a-priori

del mondo; lo stesso Anassimandro fa dell’ “apeiron/infinito” la

sacra sostanza che presiede all’ordine del mondo. Sarà la sintesi

platonica volta a fare dell’ “Idea/Idèin-vedere”, la chiave di

interpretazione e semplificazione della realtà, collocando la materia

in una posizione subordinata, svilendone il ruolo. L’idea stessa di

Demiurgo, quale mediatore ed ordinatore nel ruolo di dare corpo

alle idee nell’informe mondo della materia, riconferma quanto qui

sinora detto. Ed allora, solo se saremo in grado di intepretare in

una nuova chiave di lettura, al di là di certo dualismo, l’intera

vicenda cosmica, allora arriveremo a capire o, quanto meno a dare

un senso alla vicenda umana sin dal suo più lontano passato ad

ora e, chissà, anche al suo futuro. Allora quel neotenico “puer

aeternus”, tanto caro a certa parte di scienza del 20°secolo, non

sarà più l’immagine di un fantascientifico scherzo di madre natura.

Allora, tutte quelle strane scimmiette dagli impronunciabili nomi

latini, non saranno più la malconcia parodia della razza umana.

Allora capiremo che, forse, lo smarrimento del senso dell’Essere,

di cui tanto ci parla Heidegger, è iniziata ben prima della riflessione

platonica. Essa è probabilmente coeva all’uomo ed alla sua

ominazione, determinata dal dono di quella Techne, con cui poter

modificare la circostante realtà a proprio piacimento. Allora

comprenderemo la nostalgia di un Paradiso Perduto, quel senso di

“estasi/ec-stasis”, ricorrente un po’ ovunque nelle mitologie e nei

credi religiosi di mezzo mondo. Essa è il ricordo del senso di

immedesimazione con l’Essere intero, con quella Natura Naturans,

all’interno della quale l’uomo (o i suoi presunti progenitori) viveva in

un rapporto di stretta osmosi. Allora capiremo quel senso di

smarrimento, ma anche di strana nostalgia, che ci prende ogni

qualvolta sostiamo dinnanzi ad una foresta o ad un qualsiasi altro

scenario di Madre Natura. Quel senso che ci dice che, laggiù nella

foresta, abbiamo lasciato qualcosa di prezioso. Qualcosa che ci

appartiene e che ora, giunti ad una fase tanto cruciale della nostra

civiltà, sarebbe ora di recuperare.

UMBERTO BIANCHI


Bibliografia:

Maria Teresa Pansera, Antropolologia filosofica, Bruno Mondadori,

2001.

A.Gehlen, L'Uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo', Mimesis

2010, v. introduzione a cura di Karl-Siegbert Rehberg

Helmuth Plessner I gradi dell'organico e l'uomo. Introduzione

all'antropologia filosofica, Bollati

Boringhieri, 2006. Oreste Tolone, Plessner, Heidegger e l'antropologia

filosofica, in Antropologia filosofica, Morcelliana, Brescia 2010

Max Scheler La posizione dell'uomo nel cosmo (1927 su rivista, 1928

come libro), a cura di G. Cusinato, FrancoAngeli, Milano 2000, V ed.

Peter Sloterdijk Sfere / Globi vol. 2. 2014, Raffaello Cortina,

Sfere / Schiume vol. 3. 2015, trad. it. di Gianluca Bonaiuti e Silvia

Rodeschini, Raffaello Cortina

Martin Heidegger Che cos'è la metafisica?, Collana Pensatori antichi e

moderni, La Nuova Italia, Firenze 1959; a cura di Armando Carlini, La

Nuova Italia, 1979-1996 Lettera sull'"umanismo" , Adelphi

Arthur Schopenhauer Il mondo come volontà e rappresentazione,

Introduzione di Marcella D'Abbiero, trad. di Gian Carlo Giani, Newton

Compton Editori, Roma 2011

Michael A. CremoThompson, Richard L.; Cremo, Michael A.

(1993). Archeologia proibita: la storia nascosta della razza umana (1a

ed.). San Diego: Istituto Bhaktivedanta.

Wilhelm Dilthey A. Marini, Alle origini della filosofia contemporanea: W.

Dilthey, Firenze, 1984