NIETZSCHE E LA DANZA DI SHIVA.
A guardarlo sembrava uno dei tanti libri lì confusamente ammassati, all’interno degli
angusti locali della libreria Europa. Conosco Miguel Serrano e quel titolo “Nietzsche
e la Danza di Shiva” aveva istintivamente, attratto la mia attenzione. Ad un
superficiale sguardo, avrebbe potuto esser confuso con uno dei tanti manualetti per
iniziandi alla militanza politica. Ma sin dall’inizio della sua lettura, questo testo mi
trascinava via via, in un vortice da cui non riuscivo a riemergere.
Tesi fondante di Serrano, è il parallelismo tra i due pilastri ideologici di Nietzsche,
Volontà di Potenza ed Eterno ritorno e l’Induismo della filosofia Samkhya e del
Tantra Yoga. Tutto il testo è praticamente un inno a quel pensiero Vitalista che in
Nietzsche trova la propria più pregante espressione, nell’idea di “Volontà di
Potenza”, che rappresenta l’anelito primordiale dell’universo tutto e della miriade di
esseri viventi che lo compongono. Tutti egualmente spinti ed animati da quella
Volontà, che porta l’uomo a cercare di superare i propri angusti limiti per farsi
Super/Oltre-Uomo, in un crescente anelito di tensione.
Strumento principe per arrivare a questa trasmutazione di valori o, se vogliamo
parlare in termini esoterici, al raggiungimento di questo superiore stato di coscienza,
è l’accettazione dell’Eterno Ritorno, ovverosia dell’idea della circolarità del tempo.
Ma, badate bene, qui Serrano è molto chiaro, Nietzsche da bravo Vitalista “fin de
siecle”, non è un metafisico, tutt’altro. Egli concepisce la realtà come un immenso
Chaos, o Essere-in Potenza, attraverso le correnti del quale, l’uomo dovrà sapersi
destreggiare, cogliendo qualunque “opportunità” vada via via, presentandosi.
Manifestandosi la realtà tutta, all’interno di un tempo circolare e ciclico ed essendo
costitutivamente finita, ad ogni ciclico alternarsi, essa dovrà tornare a manifestarsi
identica a come si era precedentemente manifestata. L’accettare con spirito
leggiadro, quasi fosse una danza, il continuo ripetersi di gioie e dolori, il nascere,
vivere e morire, per poi rinascere dopo un istante, è ciò che predispone l’uomo a far
di sé un Oltre/Super-Uomo. Ma il riuscire a fruire dell’Eterno Ritorno, all’interno del
Cerchio, non è cosa da tutti.
Prendendo le mosse dalla filosofia Samkhya , Serrano ci dice che a poter vivere
dell’Eterno Ritorno è il Jvanmukti, il “liberato”, colui che dall’umano stato di Jvan,
passa ad uno superiore, in virtù del fatto di essersi riuscito a liberare dall’illusione
ingenerata da Prakriti/Materia, per ricongiungersi a quello di Purusha/Essere. In
ambito tantrico, a mutare sono i nomi dei soggetti del dramma cosmico, laddove,
nella filosofia Samkhya si parla di Purusha e di Prakriti, nel Tantra si parla di Shiva e
di Shakti, ovverosia dell’ordine cosmico maschile e della sua distruttrice forza vitale
femminile Shakti.
Al fine di contenere Shakti, Shiva o Nataraja, danza su una collana di fuoco,
contemperando, al medesimo tempo, creazione e distruzione. E così, nel nome
dell’eterna contraddizione che caratterizza il ciclo dell’Essere tutto, Shakti andrà
assumendo la valenza di Ishvara-Shiva, o Creatore femminile, mentre Shiva
assumerà l’androgina valenza di Parama-Shiva, nel ruolo di principio neutro
emanatore dell’Essere. In tal modo ogni possibile dualismo, è superato, ogni aspetto
molteplice della realtà finisce con il coincidere in un principio unico, a sua volta
però, capace di assumere una infinita molteplicità di aspetti.
Colui che sa osservare la danza dei mondi dal di fuori, ha recepito appieno e fatto
suo il principio primo di Volontà Assoluta, che anima la Shakti, è un Vira/Eroe che
addiviene allo stato di Shudibudishvabhaba/Trasmutato. Attraverso il rituale
Panchatattva, egli andrà a conquistare Icchacuddi o Volontà Assoluta, che ne farà un
semidio o un nume, una vera e propria incarnazione dell’ideale di quell’Oltre/Super
Uomo, in grado di accettare il cerchio dell’Eterno Ritorno.
Forse l’unica discrepanza ravvisabile nel testo del Serrano, sta nel fatto che l’intero
Arya Dharma, (il complesso religioso e ideologico che accomuna Induismo,
Buddhismo e Jainismo...) si fonda sul fatto che vero Moksa/Nirvana/ Liberazione è
l’uscita dal Cerchio ciclico del Samsara, mentre per Nietzsche, vera liberazione è la
permanenza in tale cerchio, attraverso la gioiosa accettazione del continuo ripetersi
del ciclo delle esistenze, ovverosia di quel continuo “ek-sistere”, ovverosia oscillare
tra l’Essere ed il Nulla, la qual cosa fa sì che l’uomo possa porsi nella condizione di
andare, attraverso uno sforzo eroico, oltre i propri umani limiti.
Nietzsche, al pari di altri autori di quell’ambito romantico e vitalista, che va dal 18°
sino alle soglie del 20° secolo, guardò ad Oriente con un occhio di interesse ed
ammirazione. La sua visione incentrata sulla gioiosa accettazione della natura ciclica
della realtà e di tutte le sue conseguenze, non va, in verità, considerata quale laico
ed ateo ripiegamento in favore di un quanto mai arido opportunismo scientista,
quanto nell’ottica dell’esaltazione di quel Selbst/Sé o “Io” potenziato la cui “ipseità”
va proprio rafforzandosi grazie ai continui stimoli offerti dalla circostante realtà.
E questo spiega i postumi interessi di Nietzsche verso le scienze esatte, così come
manifestati in scritti quali “La gaia Scienza” o nei frammenti de “La Volontà di
Potenza”. Lo stesso Serrano ce lo fa capire, citando spesso e volentieri uno studioso
come C.G.Jung, le cui ricerche sulla dimensione più profonda del Sé, ci portano ad
una visione di introspettivo potenziamento dell’ “Io” e delle sue connessioni con
l’Essere attraverso la dimensione del simbolismo archetipico.
Quella di Nietzsche, a detta del Serrano, potrebbe esser considerata una versione
occidentale, “iperborea”, dell’orientale principio di metempsicosi, proprio a causa
del continuo avvicendarsi di cicli vitali che vedono avvicendarsi altrettanti “io”, tutti
identici a sé stessi, ma aperti alla possibilità, attraverso l’Eterno Ritorno, di
potenziarsi, spalancando a quei medesimi “io” la possibilità di divenire altro e meglio
di sé.
E così la personalità diviene solo una maschera, dietro alla quale rimane quel Selbst,
quell’ ”Io-Archetipo”, aperto, tra una pausa dell’Essere all’altra, seguendo la ruota
del Samsara, all’autoperfezionamento. Coerentemente con lo spirito che anima
tutta la sua opera, quella dell’Eterno Ritorno di Nietzsche, non può esser considerata
una costruzione definitiva, ma solamente il momento di un percorso di continuo
auto perfezionamento, legato ad un doppio principio di Volontà-Casualità. A tal
proposito, il Serrano muove una decisa critica ad Heidegger ed alla sua accusa a
Nietzsche, di essere un “metafisico”, proprio a causa, a dire di questi, del suo
presunto tentativo di porre dei paletti ontologici, addivenendo, tramite motivo
come Volontà di Potenza ed Eterno Ritorno, ad una nuova costruzione metafisica.
La qual cosa, potrebbe nuovamente dar l’impressione di allontanare ambedue le
visioni, quella nicciana e quella Hindu, le quali però, sebbene lontane per epoca e
contesto, oltre ai motivi di cui abbiamo poc’anzi parlato, sono accomunate da
un’altra fondamentale e primeva, intuizione.
Una delle vicende portanti del poema Hindu Bhagavad Gita, ci narra della eroica
figura di Arjuna (dalla radice sanscrita “Ar”-quale Virtù, Valore, Coraggio, da cui il
greco “Aretè/Virtù”, il celtico Eire, l’avestico Iran-“Spazio Ario”, etc., sic!) che, preso
dallo sconforto di fronte all’idea di dover combattere contro gli zii ed i cugini
Pandava, viene rincuorato dal dio Krishna che, lo invita a riprendere le armi, non
prima di porsi “al di là del bene e del male”, nel nome della virtù, mantenendo
l’imperturbabile spirito di un vero praticante di Yoga.
Così, quella che fu la primordiale intuizione delle tribù Indo Arie nella notte dei
tempi, si è fatta Archetipo vivente ed è tornata a manifestarsi agli albori di una
Modernità, della quale ha sparigliato, sin dal primo momento, le coordinate. Resta
la conclusione che l’accettazione dell’Eterno Ritorno, attraverso una Volontà di
Potenza, alla base della quale non può che stare il principio del superamento delle
usali coordinate morali di Bene e Male, nel nome di una superiore “virtus”, non è
cosa da tutti. E questo, sia che vi si voglia arrivare da una prospettiva di puro e laico
vitalismo nicciano, che da quella offerta dal Tantra Yoga che, altresì, da quella
offerta dalle Occidentali Scienze Ermetiche.
La realizzazione di un Uomo Nuovo, che sappia porsi al di là degli angusti limiti nei
quali, oggi sempre più, è astretto e costretto un individuo occidentale sempre più
omologato ai desiderata di una disumana tecno-economia, va oggi facendosi nobile
sforzo e tentativo, di creare un esempio che possa porsi quale stella polare, per un
quanto mai alienato e confuso genere umano.
“Buddhiyukto jahati ‘ha ubhe sukrtaduskrte tasmad yogaya yujyasva yogah karmasu
kausalam.
Colui che ha raggiunto l’equilibrio dell’intelligenza aggiogata elimina anche in questo
mondo tutti e due, il bene e il male. Lotta dunque per realizzare lo yoga; lo yoga è
abilità nell’agire.”
(Bhagavad Gita)
UMBERTO BIANCHI