venerdì 12 marzo 2021

BATTAGLIA DEL GRANO E GRANDE AZZERAMENTO

 

BATTAGLIA DEL GRANO E GRANDE AZZERAMENTO

Proemio

Durante il ventennio fascista, negli anni 1926-1931 si tentò di rendere il Paese autosufficiente nella produzione di frumento. La si chiamò “Battaglia del grano”, ma la somiglianza con il titolo di questo articolo è del tutto casuale. Di ben altro grano tratteremo

Il Grande Azzeramento

La pressante litania di pandemie scoppiate (se è quello che fecero) nel XXI secolo: mucca pazza, SARS avicola, suina, ovina e quant’altro, è ora sfociata nel Grande Azzeramento[1], del quale si fa un gran parlare dall’inizio del fatidico 2020. È l’ultima mossa in esecuzione, ma prima in intenzione, di un processo di secoli, guidato dalla strategia del divide et impera e identificabile, non senza difficoltà, in una congerie di eventi geopolitici: balcanizzazione, l’ossimoronica “scuola obbligatoria e gratuita”, oggi sminuzzata in nozioni slegate online, “distanziamento sociale,” museruole obbligatorie, guerra al lavoro libero e indipendente, al denaro contante, collettivizzazione, pensiero a senso unico, bruttezza morale ed estetica, eccetera. La baracca sta in piedi grazie al controllo della moneta tolto alla politica e monopolizzato dalla finanza privata.

Lo aveva profetizzato Lord Acton (1834-1902) nel quasi preistorico 1875, quando copriva la carica di Chief Justice (Presidente della Corte Suprema) del Regno Unito. Il suo detto piu famoso:

Con il potere in poche mani, è frequente che esso cada sotto il controllo di uomini con la mentalità di gangster. La storia lo ha provato: il potere corrompe, e il potere assoluto corrompe assolutamente.

Ma quale potere? Lo stesso statista britannico lo indica:

La questione che si trascina da secoli, e per la quale prima o poi si dovrà combattere, è quella del popolo contro le banche.

Ne segue che se si trasferisse quel potere dal sistema bancario al popolo, l’operazione metterebbe il sistema in condizioni di non nuocere, per infine debellare il cancro che rode le viscera della civilizzazione occidentale, già Cristianità, da secoli: l’usura.

Sovranità

Il termine, di moda crescente dal Trattato di Westphalia (1648) in poi, è di Jean Bodin (1529-1596), francese e filosofo del diritto, che lo definì come “potere assoluto e perpetuo proprio dello Stato”. Bodin non pensò minimamente di dotare “il popolo” di sovranità. Ci pensò la Rivoluzione, nella Francia del 1789 per estendersi oggi a tutto il mondo, anche se solo a parole. Perfino la Cina si autodichiara “Repubblica Popolare”, dove però  un agricoltore che ha osato generare otto figli è stato multato per l’equivalente di 400mila dollari USA.

Che si abbia il coraggio –o la faccia tosta- di dichiarare il popolo italiano “sovrano” contemporaneamente ingannandolo e bistrattandolo come accade dall’Unità in poi, sorvoliamo. Il fine di questo articolo è suggerire come il popolo italiano possa impadronirsi di sovranità monetaria con metodi pacifici ma del tutto eterodossi, e a dispetto di quelle istituzioni  approvvigionatrici di frodi dette “facoltà” di Economia, Scienze Politiche ecc.

Cominciamo con Marco Polo (1254-1324) osservatore acutissimo di cose cinesi durante il regno di Kublai Khan (1215-1294), dove trascorse 17 anni della sua vita. Una di queste fu la carta moneta, inventata da quella civilizzazione cinque secoli prima, e in auge a quei tempi.

Due misteri avvolgono quel fenomeno. Il primo è il ritardo di ben quattro secoli che ci vollero dal ritorno del Nostro dall’Estremo Oriente perché l’Occidente mettesse in pratica questa grande invenzione. Solo nel XIX secolo gli Stati europei la adottarono massicciamente, ma fingendo di ancorarla ai metalli preziosi con argomenti rocamboleschi e truffaldini che tralasceremo.

Un secondo mistero è come i governi occidentali, europei o americani, si siano lasciati blandamente usurpare il diritto di batter moneta dalla finanza, che con il suo credito bancario menzognero e usurario opprime il popolo come questo mal sa e meno reagisce. Perchè? Per una mimetizzazione così ben riuscita, da irretire milioni di persone nella superstizione di Creso (m. 546 a.C.) secondo la quale una moneta deve avere “valore intrinseco”.

Per capire i quali (superstizione e valore intrinseco), ritorniamo in Estremo Oriente in tempi più recenti di Marco Polo. Spiccano alcuni fatti.

Alla fine del secolo XIX, nei porti cinesi  e giapponesi, “aperti” i primi dalle cannoniere britanniche e i secondi da quelle americane, i doganieri  operavano sotto un perpetuo incubo, dovuto alla confusione di dollari messicani, statunitensi, pesos sudamericani, rupie indiane e tant’altro; ma siccome i vari istituti bancari non si fidavano del “valore intrinseco” delle medesime, le facevano saggiare dai loro esperti e stampigliare con simboli propri per “distinguere” quello che giorno dopo giorno era sempre meno distinguibile.

Furono i giapponesi a tagliare la testa al toro. Nei loro uffici doganali, ai primi del secolo XX, non c’erano più monete sfuse. C’erano invece sacchetti sigillati pieni delle medesime ma alla rinfusa. Il loro valore facciale era ignoto, ma ad ogni sacchetto veniva dato un suo valore monetario, e lo si scambiava senza aprirlo. Era una tacita ammissione che quel che conta in una moneta è quello che dice di fuori, non quello di cui è fatta. Ossia, il valore intrinseco è irrilevante. Ma ancora oggi, la Banca d’Inghilterra “promette di pagare al portatore” la somma di non si sa che “pounds” fantasma, ma alla prova dei fatti altri pezzi di carta più o meno variopinti. La turlupinatura continua, e sarebbe ora di finirla. È possibile? Vediamolo.

La sovranità che conta

Fino a 20 anni fa, pochi conoscevano il detto di Meyer Amschel Rothschild (1744-1812): “Datemi il controllo della moneta, e non mi importa di chi fa le leggi”. Grazie alla Rete, oggi lo conoscono anche le pietre. Ma sapere non è capire, il che né la Rete né men che meno la raccolta di pie favole fatta passare per “storia” dai “programmi ministeriali” promuovono. Se lo facessero, sapremmo che il buon Meyer Amschel si riferiva alla moneta debito. Curioseremo quindi negli anfratti della questione, ben tenuti in ombra anche dai manuali di cosiddetta “economia”.

I quali svelano che nel 1100, anno di accessione al trono inglese di Enrico I ultimogenito di Guglielmo il Conquistatore, questi autorizzava lo Scacchiere ad accettare in concetto di imposte i tally sticks[2], mezzo di pagamento emesso dai produttori di ricchezza e già circolante nel reame,.

Ci importano non tanto i particolari tecnici quanto il principio su cui operavano e la loro durata in circolazione. I tallies, di cui pochissimi esemplari sopravvivono, erano cambiali di legno che tennero banco per ben 726 anni, 1100-1836. Rimangono un esempio di emissione monetaria democratica, saggiamente supportata dal potere regale. In Italia, le cambiali cartacee che diedero vita all’economia degli anni Cinquanta, avevano la stessa funzione; ma il potere politico, in combutta con le banche, invece di sostenerle le snobbò, le screditò, le tassò invece di sussidiarle come aveva raccomandato Silvio Gesell (1862-1930) mezzo secolo prima, e le fece sparire a colpi di leggi e leggine da sempre caratterizzanti i regimi totalitari sotto mentite spoglie “democratiche”.

Tornando all’Inghilterra, il passaggio dalla dinastia dei Plantageneti a quella dei Tudor alla fine della Guerra delle Rose (1485) segnò anche l’ingresso della banca moderna nell’economia. Quanto desse fastidio alla banca la sovranità popolare sulla moneta lo si vide dalla guerra senza quartiere da essa mossa ai tallies, vinta dopo ben tre secoli e mezzo, e i cui particolari sono reperibili altrove. La stessa ostilità viene diretta oggi globalmente al contante, del quale le banche vogliono sbarazzarsi con slogan e ragionamenti di una irrazionalità degna di miglior causa.

Alla sconfitta dei tallies seguì il dominio, sempre più asfissiante, del potere usurario, dovuto, come puntualizzava Gesell, non tanto a uomini quanto alla natura di una moneta con doppia, contradditoria funzione di riserva di valore e mezzo di scambio. Definì l’usura come il potere di imporre tributo da chi possiede la prima funzione, su tutti coloro che bisognano della seconda. L’usura interessa non solo i prestiti, ai quali viene tradizionalmente tracciata, ma anche il commercio e la speculazione, borsistica e non, per non parlare dei fiumi di sangue sparsi in guerre senza fine.

Perchè la guerra? Per impedire ad ogni costo, anche di milioni di vite umane, l’inevitabile scoppio di una bolla finanziaria che inevitabilmente segue la crescita incontrollata dell’interesse composto, anima dell’usura. Ogni guerra ha sempre fatto da Grande Azzeramento pianificato: dopo la distruzione immane di vite umane e di ricchezza materiale, eccoti gli usurai offrire il credito per ricostruire. Oggi, non potendo distruggere fisicamente, lo si fa incutendo terrore mediatico al popolo, impedendo il lavoro, per un bel giorno azzerare. È l’ultima vittoria delle banche sul popolo, come profetizzava Lord Acton nel 1875 e ripeteva Ezra Pound nel 1944.

Moneta del popolo

È ora di chiederci: è possibile, oggi, ribaltare la situazione? Che il popolo si approprii di quel che i banchieri hanno monopolizzato per tanto tempo? E per di più farlo pacificamente, legalmente, naturalmente, anche se in maniera del tutto eterodossa? Sembrerebbe follia affermarlo, e ancor più metterlo in pratica. Ma per lo meno tentiamolo.

La resa incondizionata all’usura dai poteri politici, nonché da quelli ecclesiastici, ha prodotto due idee malsane da cui liberarsi per riconvogliare la sovranità monetaria al controllo popolare:

Una:  La moneta gode di una misteriosa (a tutti gli effetti stregonesca) capacità di riprodursi detta “interesse”;

Due: Una moneta ha valore se e solo se emessa da una “autorità”, sia pubblica (Stato, governo) sia privata (banca).

Nessuna delle due proposizioni è necessariamente vera.

Abbiamo visto come i tallies inglesi, imprestabili e infalsificabili, impedirono all’usura di spadroneggiare colà per sette secoli. Ma erano manufatturati, e quindi soggetti a legislazione ostile.

La funzione di mezzo di scambio, d’altro canto, è stata storicamente espletata non solo da metalli preziosi, ma anche da metalli vili, conchiglie, vetro, cuoio, i wampum amerindi, peltri di animali selvatici, e un lungo eccetera.

Ergo, la prima cosa da fare è sradicare le idee false e radicare quelle vere. Che sono:

Una: La moneta emessa dal popolo può e deve essere, totalmente e naturalmente, libera da interesse, e quindi emessa senza indebitare nessuno;

Due: L’unico, ripeto unico, valore di una moneta è quello indotto, come non si stancava di ripetere Giacinto Auriti (1923-2006), cioè la sua accettazione in pagamento di qualsiasi bene o servizio anche pubblico, come fece lo Scacchiere di Enrico I.

Pane e usura

Detto ciò, si presti la massima attenzione alle granaglie: non solo cereali: frumento, riso, mais, orzo ecc., ma anche legumi: fagioli, piselli, lenticchie, ceci ecc. Sono semi duraturi, a differenza di frutta e verdure. Possono quindi essere monetizzate, non nel senso di venderle per “realizzarle” in moneta ufficiale, ma di comprare con esse beni e servizi. Il sistema in auge non prevede un tale uso. Esso penalizza e sfrutta tanto i produttori di granaglie quanto i loro consumatori.

I primi sanno troppo bene come li tratta il “mercato”: il prezzo all’ingrosso si aggira, per i cereali, attorno alla miseria di 300 euro/tonnellata, o 30 euro/quintale.

I secondi non possono acquistarle se non in quantità industriali, così venendo penalizzati molto più di quanto essi si rendano conto.

Che fare? Andiamo al grano, anzi al Grano. Il primo è la cariosside[3] di Triticum sativum, del quale la battaglia storica  del 1926-31 non arrivò ai 90 milioni di quintali desiderati. Il secondo, con G maiuscola, è una quantità molto più modesta, intesa a fare da unità monetaria naturale e popolare, descritta infra. Ben altro grano, quindi, come recita il titolo di questo saggio.

Ma per capire la questione in profondità, è necessario un excursus che introduca la dimensione sanitaria concomitante a quella monetaria.

Riportiamoci a prima del lontanissimo 1868, anno della tassa sul macinato, imposta dal governo sabaudo per pagare interesse sui prestiti usurari che aveva contratto. Ci interessa la natura di quel macinato, non la politica[4].

I contadini portavano una certa quantità di grano al mugnaio. Costui lo macinava integralmente, cioè schiacciandone i tre componenti: germe, crusca e endosperma[5], insieme. Ne tratteneva una parte in pagamento del servizio, e ritornava il resto. Il ciclo durava una settimana.

Chiediamoci il perché di questo ciclo, oggi del tutto sconosciuto e meno ancora capito dalle folle malate di consumismo e rincoglionite da una “educazione” che di tale non ha che il nome.

Il macinato andava panificato entro tre giorni. A non farlo, il germe, la parte più nutriente e appetitosa della cariosside si sarebbe irrancidita, divenendo immangiabile. Il pane di allora si manteneva per una buona settimana.

Chi ha mai assaggiato “quel” pane non ne dimenticherà mai il gusto. Faceva venire l’acquolina in bocca solo a odorarlo.

Ma il progresso, si sa, è inarrestabile. Un brutto giorno esso si abbattè sul macinato nella forma “moderna”, naturalmente, di cilindri prima e dischi dopo, di acciaio, che calibrati accuratamente non schiacciano i tre componenti del cereale insieme, ma li separano nettamente l’uno dall’altro.

Di quel “progresso” se ne impadronì immediatamente l’usura. Vendendo i tre separatamente, si ottengono profitti inaspettati, e non solo: l’amido puro ha una durata praticamente illimitata negli scaffali di un supermercato, che lo rifila ai consumatori come “farina 00” e simili arcana. Neanche agli insetti fa gola: una vera bonanza per Mammona.

Tralascio gli effetti deleteri sulla salute per dare al lettore una buona notizia. Il progresso è sì inarrestabile, ma c’è quando prende il senso giusto. Sono apparsi sul mercato centinaia di modelli di mulini elettrici capaci di macinare i cereali all’antica, ma dentro le mura del focolare domestico, senza accudire al mugnaio. Il che importa non solo alla salute, ma anche alla sovranità monetaria come vedremo. Descriviamola dunque per chiudere la questione.

Il Grano

Entriamo ora nei particolari della nostra unità monetaria. Vogliamo comprare con essa, vedremo cosa e come. Fa da Grano la quantità naturale di cento grammi di cereale, o legume.

È evidente che valore facciale e valore intrinseco coincideranno sempre. Cento grammi di cereali o legumi possono essere lavorati in pane, pasta, polenta, panelle, piadine e quel che la fantasia e abilità culinarie dettino. E possono sempre sfamare un essere umano adulto per un giorno. La necessità fisiologica, uguale per tutti, dipende non dal portafoglio ma dallo stomaco.

Chi può emettere Grano? Lettore, potresti essere tu, ad avere accesso a granaglie coltivate in proprio o acquistate come possibile. Anche da solo? Anche da solo. Come?

Prima fase: prepararne l’accettazione. Sigillare Grano in sacchetti trasparenti (secondo il modello giapponese) da 100, 200, 500, 1000, 2000, 5000, 10mila unità, cioè grammi, ciascuno. Sigillato, il Grano è moneta; aperto, è cibo. Tertium non datur.

E tutto quel peso? Ammesso e concesso che è notevomente superiore a quello del contante cartaceo, en guerre comme en guerre; chi milita sa che deve fare extra sforzo. Non è poi tanto: anche un ottantenne può caricarsi di cento Grani, pesanti dieci chili, in uno zainetto.

Il tasso di scambio non è fisso: lo si negozia caso per caso, e giorno dopo giorno, luogo per luogo, secondo bisogno; l’unico rapporto fisso è quello tra il Grano e il volume gastrico.

Seconda fase: spacciare. Dove? Evidentemente non in supermercati o in esercizi bolscevizzati, cioè pensati per le moltitudini consumiste. La prudenza suggerisce di tentare prima con chi può fare il doppio uso del Grano: vengono a mente i ristoratori, specialmente se dotati di mulino elettrico come descritto. Il Grano è pensato per i piccoli operatori economici (incluso lo spacciatore) la cui libertà e indipendenza sono giornalmente minacciate dal potere. Propone loro una compra per tot Grani, o per un miscuglio di questi e di contante, quest’ultimo  reso permanentemente scarso grazie alla politica statale e bancaria. Chi accetta la transazione, e fa circolare Grani, farà muovere l’economia senza attrarre l’attenzione del fisco e di kleptocrati parassiti, attuando da habitué del Grano emesso dal Popolo Sovrano.

Le piccole quantità spacciate e la loro versatilità potrebbe incentivare alcuni possessori di scarso contante a “venderlo” per Grani. Con un generoso “sconto” naturalmente, ma al rovescio: una maggiore quantità di Grani. Il prezioso contante andrebbe dove ve ne sarebbe più bisogno. 

Terza fase: passaparola. Si sappia sempre di più che il Grano funziona, anche in piccolo. Si promuova l’uso di mulini domestici, così diffondendo la circolazione di Grano. Raggiunta una certa massa critica nessuno sarà in grado di fermarlo. Produttori e spacciatori copriranno prima o poi il territorio nazionale, eludendo la kleptocrazia per poi ispirare i popoli oltre confine.

I vantaggi del Grano sono inevitabilmente unilaterali: esso avvantaggia chi lavora a spese di chi non lo fa. Con la mercede del lavoro sottratta alla tassazione in auge, iniqua e truffaldina, chi oggi guadagna senza lavorare si dovrà preparare a soffrirne le conseguenze.

Il potere politico sarà costretto a promuovere il bene comune assumendosi il dovere di emettere il mezzo di pagamento per quelle tasse giuste che esso ha il diritto di imporre. Questo vorrà dire due cose:

Prima, lasciare l’Euro dov’è, ma per transazioni internazionali, per le quali dopo tutto era stato progettato; e affiancarlo ad un contante nazionale a circolazione forzata, esclusivamente per uso domestico, inconvertibile, capace di soddisfare la spesa pubblica e il pieno impiego della forza lavoro senza limiti di sorta.

Seconda, spostare l’imponibile fiscale dal valore aggiunto dallo sforzo di chi lavora a quello sottratto all’uso pubblico, in primis la rendita da ubicazione del suolo, che monetizzata dallo Stato è in grado di coprire tutta la spesa pubblica produttiva e improduttiva: difesa, ordine pubblico, elettricità, acqua, educazione, sanità, diplomazia ecc.

Sarà possibile pagare non tanto un reddito di cittadinanza quanto uno di maternità, così retribuendo il lavoro più duro e necessario che il sistema in auge punisce invece di premiare[6].

Sorprendentemente quindi, e dulcis in fundo, il Grano è in grado di far sparire l’usura. Come i tallies inglesi da Enrico I a Vittoria, non è né prestabile né falsificabile. Esso garantirà pertanto la vittoria del popolo sulle banche e su politiche antipopolo. La monetizzazione delle granaglie farà da base a una sovranità popolare de facto e non solo de iure come oggi[7].


29 gennaio 2021

Riveduto e aumentato 11 marzo 2021

 



[1] Great Reset in inglese, con l’accento sulla seconda “e” di reset. Ho tradotto con “azzeramento”.

[2] Tally vuol dire “far combaciare” le due metà di un bastoncino con tacche sui margini indicanti la somma emessa e poi spaccati, metà per il creditore e l’altra per il debitore. Erano pertanto infalsificabili.

[3] Termine botanico. In volgare, “chicco”.

[4] Se questo è il motivo per l’espressione “governo ladro” non mi è dato sapere.

[5] Termine botanico. In volgare, “amido”

[6] Tutte queste misure vigevano nella Libia di Muammar Gaddafi nel 2011, quando finirono per costargli la vita.

[7] Consti che le suddette conclusioni me le ha imposte la logica, non il pregiudizio o simili. Sarò lieto di rispondere a chi le volesse contestare, promettendo di ritirare incodizionalmente qualsiasi asserzione dimostrata falsa.