BATTAGLIA DEL GRANO E GRANDE AZZERAMENTO
Proemio
Durante il ventennio fascista, negli anni
1926-1931 si tentò di rendere il Paese autosufficiente nella produzione di
frumento. La si chiamò “Battaglia del grano”, ma la somiglianza con il titolo
di questo articolo è del tutto casuale. Di ben altro grano tratteremo
Il
Grande Azzeramento
La pressante litania di
pandemie scoppiate (se è quello che fecero) nel XXI secolo: mucca pazza, SARS
avicola, suina, ovina e quant’altro, è ora sfociata nel Grande Azzeramento[1], del
quale si fa un gran parlare dall’inizio del fatidico 2020. È l’ultima mossa in
esecuzione, ma prima in intenzione, di un processo di secoli, guidato dalla
strategia del divide et impera e identificabile,
non senza difficoltà, in una congerie di eventi geopolitici: balcanizzazione,
l’ossimoronica “scuola obbligatoria e gratuita”, oggi sminuzzata in nozioni
slegate online, “distanziamento
sociale,” museruole obbligatorie, guerra al lavoro libero e indipendente, al
denaro contante, collettivizzazione, pensiero a senso unico, bruttezza morale
ed estetica, eccetera. La baracca sta in piedi grazie al controllo della moneta
tolto alla politica e monopolizzato dalla finanza privata.
Lo aveva profetizzato Lord
Acton (1834-1902) nel quasi preistorico 1875, quando copriva la carica di Chief Justice (Presidente della Corte
Suprema) del Regno Unito. Il suo detto piu famoso:
Con il potere in
poche mani, è frequente che esso cada sotto il controllo di uomini con la
mentalità di gangster. La storia lo ha provato: il potere corrompe, e il potere assoluto corrompe assolutamente.
Ma
quale potere? Lo stesso statista britannico lo indica:
La questione che si trascina da secoli, e per la quale prima
o poi si dovrà combattere, è quella del popolo
contro le banche.
Ne segue che se si trasferisse quel potere
dal sistema bancario al popolo, l’operazione metterebbe il sistema in
condizioni di non nuocere, per infine debellare il cancro che rode le viscera della
civilizzazione occidentale, già Cristianità, da secoli: l’usura.
Sovranità
Il termine, di moda crescente dal Trattato di
Westphalia (1648) in poi, è di Jean Bodin (1529-1596), francese e filosofo del
diritto, che lo definì come “potere assoluto e perpetuo proprio dello
Stato”. Bodin non pensò minimamente di dotare “il popolo” di sovranità. Ci
pensò la Rivoluzione, nella Francia del 1789 per estendersi oggi a tutto il
mondo, anche se solo a parole. Perfino la Cina si autodichiara “Repubblica
Popolare”, dove però un agricoltore che
ha osato generare otto figli è stato multato per l’equivalente di 400mila
dollari USA.
Che si abbia il coraggio
–o la faccia tosta- di dichiarare il popolo italiano “sovrano” contemporaneamente
ingannandolo e bistrattandolo come accade dall’Unità in poi, sorvoliamo. Il
fine di questo articolo è suggerire come il popolo italiano possa impadronirsi di
sovranità monetaria con metodi pacifici ma del tutto eterodossi, e a dispetto di
quelle istituzioni approvvigionatrici di
frodi dette “facoltà” di Economia, Scienze Politiche ecc.
Cominciamo con Marco Polo
(1254-1324) osservatore acutissimo di cose cinesi durante il regno di Kublai
Khan (1215-1294), dove trascorse 17 anni della sua vita. Una di queste fu la
carta moneta, inventata da quella civilizzazione cinque secoli prima, e in auge
a quei tempi.
Due misteri avvolgono quel
fenomeno. Il primo è il ritardo di ben quattro
secoli che ci vollero dal ritorno del Nostro dall’Estremo Oriente perché l’Occidente
mettesse in pratica questa grande invenzione. Solo nel XIX secolo gli Stati
europei la adottarono massicciamente, ma fingendo di ancorarla ai metalli
preziosi con argomenti rocamboleschi e truffaldini che tralasceremo.
Un secondo mistero è come i
governi occidentali, europei o americani, si siano lasciati blandamente
usurpare il diritto di batter moneta dalla finanza, che con il suo credito bancario menzognero e usurario
opprime il popolo come questo mal sa e meno reagisce. Perchè? Per una mimetizzazione
così ben riuscita, da irretire milioni di persone nella superstizione di Creso
(m. 546 a.C.) secondo la quale una moneta deve
avere “valore intrinseco”.
Per capire i quali
(superstizione e valore intrinseco), ritorniamo in Estremo Oriente in tempi più
recenti di Marco Polo. Spiccano alcuni fatti.
Alla fine del secolo XIX, nei
porti cinesi e giapponesi, “aperti” i
primi dalle cannoniere britanniche e i secondi da quelle americane, i
doganieri operavano sotto un perpetuo
incubo, dovuto alla confusione di dollari messicani, statunitensi, pesos sudamericani,
rupie indiane e tant’altro; ma siccome i vari istituti bancari non si fidavano
del “valore intrinseco” delle medesime, le facevano saggiare dai loro esperti e
stampigliare con simboli propri per “distinguere” quello che giorno dopo giorno
era sempre meno distinguibile.
Furono i
giapponesi a tagliare la testa al toro. Nei loro uffici doganali, ai primi del
secolo XX, non c’erano più monete sfuse. C’erano invece sacchetti sigillati pieni delle medesime ma alla
rinfusa. Il loro valore facciale era ignoto, ma ad ogni sacchetto veniva dato un
suo valore monetario, e lo si
scambiava senza aprirlo. Era una
tacita ammissione che quel che conta in una moneta è quello che dice di fuori, non quello di cui è fatta.
Ossia, il valore intrinseco è irrilevante. Ma ancora oggi, la Banca
d’Inghilterra “promette di pagare al portatore” la somma di non si sa che
“pounds” fantasma, ma alla prova dei fatti altri pezzi di carta più o meno
variopinti. La turlupinatura continua, e sarebbe ora di finirla. È possibile? Vediamolo.
La sovranità che conta
Fino a 20 anni fa, pochi
conoscevano il detto di Meyer Amschel Rothschild (1744-1812): “Datemi il
controllo della moneta, e non mi importa di chi fa le leggi”. Grazie alla Rete,
oggi lo conoscono anche le pietre. Ma sapere non è capire, il che né la Rete né
men che meno la raccolta di pie favole fatta passare per “storia” dai “programmi
ministeriali” promuovono. Se lo facessero, sapremmo che il buon Meyer Amschel
si riferiva alla moneta debito.
Curioseremo quindi negli anfratti della questione, ben tenuti in ombra anche dai
manuali di cosiddetta “economia”.
I quali
svelano che nel 1100, anno di accessione al trono inglese di Enrico I
ultimogenito di Guglielmo il Conquistatore, questi autorizzava lo Scacchiere ad
accettare in concetto di imposte i tally
sticks[2], mezzo di
pagamento emesso dai produttori di ricchezza e già circolante nel reame,.
Ci
importano non tanto i particolari tecnici quanto il principio su cui operavano
e la loro durata in circolazione. I tallies,
di cui pochissimi esemplari sopravvivono, erano cambiali di legno che tennero
banco per ben 726 anni, 1100-1836. Rimangono un esempio di emissione monetaria democratica, saggiamente supportata dal potere
regale. In Italia, le cambiali cartacee che diedero vita all’economia degli
anni Cinquanta, avevano la stessa funzione; ma il potere politico, in combutta
con le banche, invece di sostenerle le snobbò, le screditò, le tassò invece di
sussidiarle come aveva raccomandato Silvio Gesell (1862-1930) mezzo secolo
prima, e le fece sparire a colpi di leggi e leggine da sempre caratterizzanti i
regimi totalitari sotto mentite spoglie “democratiche”.
Tornando
all’Inghilterra, il passaggio dalla dinastia dei Plantageneti a quella dei
Tudor alla fine della Guerra delle Rose (1485) segnò anche l’ingresso della
banca moderna nell’economia. Quanto desse fastidio alla banca la sovranità
popolare sulla moneta lo si vide dalla guerra senza quartiere da essa mossa ai tallies, vinta dopo ben tre secoli e
mezzo, e i cui particolari sono reperibili altrove. La stessa ostilità viene
diretta oggi globalmente al contante, del quale le banche vogliono sbarazzarsi con
slogan e ragionamenti di una irrazionalità degna di miglior causa.
Alla
sconfitta dei tallies seguì il dominio,
sempre più asfissiante, del potere usurario, dovuto, come puntualizzava Gesell,
non tanto a uomini quanto alla natura di una moneta con doppia, contradditoria
funzione di riserva di valore e mezzo di scambio. Definì l’usura come il potere di imporre tributo da chi possiede la prima funzione, su tutti
coloro che bisognano della seconda.
L’usura interessa non solo i prestiti, ai quali viene tradizionalmente
tracciata, ma anche il commercio e la speculazione, borsistica e non, per non
parlare dei fiumi di sangue sparsi in guerre senza fine.
Perchè la
guerra? Per impedire ad ogni costo, anche
di milioni di vite umane, l’inevitabile scoppio di una bolla finanziaria che
inevitabilmente segue la crescita incontrollata dell’interesse composto, anima dell’usura. Ogni guerra ha sempre fatto
da Grande Azzeramento pianificato: dopo la distruzione immane di vite umane e
di ricchezza materiale, eccoti gli usurai offrire il credito per ricostruire. Oggi, non potendo distruggere fisicamente,
lo si fa incutendo terrore mediatico al popolo, impedendo il lavoro, per un bel
giorno azzerare. È l’ultima vittoria delle banche sul popolo, come profetizzava
Lord Acton nel 1875 e ripeteva Ezra Pound nel 1944.
Moneta del popolo
È ora di
chiederci: è possibile, oggi, ribaltare la situazione? Che il popolo si
approprii di quel che i banchieri hanno monopolizzato per tanto tempo? E per di
più farlo pacificamente, legalmente, naturalmente, anche se in maniera del
tutto eterodossa? Sembrerebbe follia affermarlo, e ancor più metterlo in
pratica. Ma per lo meno tentiamolo.
La resa incondizionata
all’usura dai poteri politici, nonché da quelli ecclesiastici, ha prodotto due
idee malsane da cui liberarsi per riconvogliare la sovranità monetaria al controllo
popolare:
Una: La moneta gode di una misteriosa (a tutti gli
effetti stregonesca) capacità di riprodursi detta “interesse”;
Due: Una moneta ha valore se
e solo se emessa da una “autorità”, sia pubblica (Stato, governo) sia privata
(banca).
Nessuna delle due
proposizioni è necessariamente vera.
Abbiamo visto come i tallies inglesi, imprestabili e
infalsificabili, impedirono all’usura di spadroneggiare colà per sette secoli. Ma
erano manufatturati, e quindi soggetti a legislazione ostile.
La funzione di mezzo di
scambio, d’altro canto, è stata storicamente espletata non solo da metalli
preziosi, ma anche da metalli vili, conchiglie, vetro, cuoio, i wampum
amerindi, peltri di animali selvatici, e un lungo eccetera.
Ergo, la prima cosa da
fare è sradicare le idee false e radicare quelle vere. Che sono:
Una: La moneta emessa dal
popolo può e deve essere, totalmente e naturalmente, libera da interesse, e quindi emessa senza indebitare nessuno;
Due:
L’unico, ripeto unico, valore di una moneta è quello indotto, come non si
stancava di ripetere Giacinto Auriti (1923-2006), cioè la sua accettazione in pagamento di qualsiasi
bene o servizio anche pubblico, come fece lo Scacchiere di Enrico I.
Pane e usura
Detto
ciò, si presti la massima attenzione alle granaglie:
non solo cereali: frumento, riso, mais, orzo ecc., ma anche legumi: fagioli,
piselli, lenticchie, ceci ecc. Sono semi
duraturi, a differenza di frutta e
verdure. Possono quindi essere monetizzate,
non nel senso di venderle per “realizzarle” in moneta ufficiale, ma di comprare
con esse beni e servizi. Il sistema in auge non prevede un tale uso. Esso
penalizza e sfrutta tanto i produttori di granaglie quanto i loro consumatori.
I primi
sanno troppo bene come li tratta il “mercato”: il prezzo all’ingrosso si
aggira, per i cereali, attorno alla miseria di 300 euro/tonnellata, o 30 euro/quintale.
I
secondi non possono acquistarle se non in quantità industriali, così venendo penalizzati
molto più di quanto essi si rendano conto.
Che
fare? Andiamo al grano, anzi al Grano. Il primo è la cariosside[3] di
Triticum sativum, del quale la
battaglia storica del 1926-31 non arrivò
ai 90 milioni di quintali desiderati. Il secondo, con G maiuscola, è una quantità
molto più modesta, intesa a fare da unità
monetaria naturale e popolare, descritta infra. Ben altro grano, quindi, come recita il titolo di questo
saggio.
Ma per
capire la questione in profondità, è necessario un excursus che introduca la dimensione sanitaria concomitante a quella
monetaria.
Riportiamoci
a prima del lontanissimo 1868, anno della tassa sul macinato, imposta dal
governo sabaudo per pagare interesse sui prestiti usurari che aveva contratto.
Ci interessa la natura di quel macinato, non la politica[4].
I contadini
portavano una certa quantità di grano al mugnaio. Costui lo macinava
integralmente, cioè schiacciandone i
tre componenti: germe, crusca e endosperma[5], insieme. Ne tratteneva una parte in
pagamento del servizio, e ritornava il resto. Il ciclo durava una settimana.
Chiediamoci
il perché di questo ciclo, oggi del tutto sconosciuto e meno ancora capito
dalle folle malate di consumismo e rincoglionite da una “educazione” che di
tale non ha che il nome.
Il macinato
andava panificato entro tre giorni. A non farlo, il germe, la parte più
nutriente e appetitosa della cariosside si sarebbe irrancidita, divenendo
immangiabile. Il pane di allora si manteneva per una buona settimana.
Chi ha
mai assaggiato “quel” pane non ne dimenticherà mai il gusto. Faceva venire
l’acquolina in bocca solo a odorarlo.
Ma il
progresso, si sa, è inarrestabile. Un brutto giorno esso si abbattè sul
macinato nella forma “moderna”, naturalmente, di cilindri prima e dischi dopo,
di acciaio, che calibrati accuratamente non schiacciano i tre componenti del
cereale insieme, ma li separano nettamente l’uno dall’altro.
Di quel “progresso”
se ne impadronì immediatamente l’usura. Vendendo i tre separatamente, si
ottengono profitti inaspettati, e non solo: l’amido puro ha una durata
praticamente illimitata negli scaffali di un supermercato, che lo rifila ai
consumatori come “farina 00” e simili arcana.
Neanche agli insetti fa gola: una vera bonanza per Mammona.
Tralascio
gli effetti deleteri sulla salute per dare al lettore una buona notizia. Il
progresso è sì inarrestabile, ma c’è quando prende il senso giusto. Sono apparsi
sul mercato centinaia di modelli di mulini elettrici capaci di macinare i
cereali all’antica, ma dentro le mura del focolare domestico, senza accudire al
mugnaio. Il che importa non solo alla salute, ma anche alla sovranità monetaria
come vedremo. Descriviamola dunque per chiudere la questione.
Il Grano
Entriamo
ora nei particolari della nostra unità monetaria. Vogliamo comprare con essa, vedremo cosa e come. Fa da Grano la quantità naturale di cento grammi di cereale, o
legume.
È
evidente che valore facciale e valore intrinseco coincideranno sempre. Cento
grammi di cereali o legumi possono essere lavorati in pane, pasta, polenta,
panelle, piadine e quel che la fantasia e abilità culinarie dettino. E possono sempre
sfamare un essere umano adulto per un giorno. La necessità fisiologica, uguale
per tutti, dipende non dal portafoglio ma dallo stomaco.
Chi può
emettere Grano? Lettore, potresti essere tu, ad avere accesso a granaglie
coltivate in proprio o acquistate come possibile. Anche da solo? Anche da solo.
Come?
Prima
fase: prepararne l’accettazione. Sigillare
Grano in sacchetti trasparenti (secondo il modello giapponese) da 100, 200,
500, 1000, 2000, 5000, 10mila unità, cioè grammi, ciascuno. Sigillato, il Grano
è moneta; aperto, è cibo. Tertium non
datur.
E tutto
quel peso? Ammesso e concesso che è notevomente superiore a quello del contante
cartaceo, en guerre comme en guerre;
chi milita sa che deve fare extra sforzo. Non è poi tanto: anche un ottantenne
può caricarsi di cento Grani, pesanti dieci chili, in uno zainetto.
Il tasso di scambio non è
fisso: lo si negozia caso per caso, e giorno dopo giorno, luogo per luogo, secondo
bisogno; l’unico rapporto fisso è quello tra il Grano e il volume gastrico.
Seconda fase: spacciare.
Dove? Evidentemente non in supermercati o in esercizi bolscevizzati, cioè
pensati per le moltitudini consumiste. La prudenza suggerisce di tentare prima
con chi può fare il doppio uso del Grano: vengono a mente i ristoratori,
specialmente se dotati di mulino elettrico come descritto. Il Grano è pensato
per i piccoli operatori economici (incluso lo spacciatore) la cui libertà e
indipendenza sono giornalmente minacciate dal potere. Propone loro una compra per
tot Grani, o per un miscuglio di questi e di contante, quest’ultimo reso permanentemente scarso grazie alla
politica statale e bancaria. Chi accetta la transazione, e fa circolare Grani,
farà muovere l’economia senza attrarre l’attenzione del fisco e di kleptocrati parassiti,
attuando da habitué del Grano emesso
dal Popolo Sovrano.
Le piccole quantità
spacciate e la loro versatilità potrebbe incentivare alcuni possessori di
scarso contante a “venderlo” per Grani. Con un generoso “sconto” naturalmente, ma
al rovescio: una maggiore quantità di Grani. Il prezioso contante andrebbe dove
ve ne sarebbe più bisogno.
Terza fase: passaparola.
Si sappia sempre di più che il Grano funziona, anche in piccolo. Si promuova l’uso
di mulini domestici, così diffondendo la circolazione di Grano. Raggiunta una certa
massa critica nessuno sarà in grado di fermarlo. Produttori e spacciatori copriranno
prima o poi il territorio nazionale, eludendo la kleptocrazia per poi ispirare i
popoli oltre confine.
I vantaggi del Grano sono inevitabilmente
unilaterali: esso avvantaggia chi
lavora a spese di chi non lo fa. Con la mercede del lavoro sottratta alla tassazione
in auge, iniqua e truffaldina, chi oggi guadagna senza lavorare si dovrà
preparare a soffrirne le conseguenze.
Il potere politico sarà
costretto a promuovere il bene comune
assumendosi il dovere di emettere il
mezzo di pagamento per quelle tasse giuste
che esso ha il diritto di imporre.
Questo vorrà dire due cose:
Prima, lasciare l’Euro
dov’è, ma per transazioni internazionali, per le quali dopo tutto era stato
progettato; e affiancarlo ad un contante nazionale
a circolazione forzata, esclusivamente per uso domestico, inconvertibile,
capace di soddisfare la spesa pubblica e il pieno impiego della forza lavoro
senza limiti di sorta.
Seconda, spostare l’imponibile
fiscale dal valore aggiunto dallo
sforzo di chi lavora a quello sottratto
all’uso pubblico, in primis la
rendita da ubicazione del suolo, che monetizzata dallo Stato è in grado di
coprire tutta la spesa pubblica produttiva e improduttiva: difesa, ordine
pubblico, elettricità, acqua, educazione, sanità, diplomazia ecc.
Sarà possibile pagare non
tanto un reddito di cittadinanza quanto uno di maternità, così retribuendo il lavoro più duro e necessario che il
sistema in auge punisce invece di premiare[6].
Sorprendentemente quindi,
e dulcis in fundo, il Grano è in
grado di far sparire l’usura. Come i
tallies inglesi da Enrico I a
Vittoria, non è né prestabile né falsificabile. Esso garantirà pertanto la
vittoria del popolo sulle banche e su politiche antipopolo. La monetizzazione
delle granaglie farà da base a una sovranità popolare de facto e non solo de iure
come oggi[7].
29 gennaio 2021
Riveduto e aumentato 11 marzo
2021
[1] Great Reset in inglese, con l’accento sulla seconda “e” di reset. Ho tradotto con “azzeramento”.
[2] Tally vuol dire “far combaciare” le due metà di un
bastoncino con tacche sui margini indicanti la somma emessa e poi spaccati,
metà per il creditore e l’altra per il debitore. Erano pertanto
infalsificabili.
[3] Termine botanico. In volgare, “chicco”.
[4] Se questo è il motivo per l’espressione “governo
ladro” non mi è dato sapere.
[5] Termine botanico. In volgare, “amido”
[6] Tutte queste misure vigevano nella Libia di Muammar Gaddafi nel 2011,
quando finirono per costargli la vita.
[7] Consti che le suddette conclusioni me le ha imposte la logica, non il pregiudizio
o simili. Sarò lieto di rispondere a chi le volesse contestare, promettendo di
ritirare incodizionalmente qualsiasi asserzione dimostrata falsa.