Anteporre "Real" alla "Cittadella di Messina" sarebbe, ad illustre parere di Angelo Sindoni, frutto di "una concezione ingenua e, si direbbe quasi infantile, della storia".
Essendo il sottoscritto uno (dei pochi, credo) che, fino a giorni fa, ha commemorato l'anniversario della resa della fortezza borbonica (definendola Real Cittadella) sul blog
non posso esimermi dal ritenermi "toccato" da quanto sopra.
Offeso no, scriverei quasi onorato perché ritengo sia meglio essere "infantili ed ingenui", quando si tratta di "leggere ed interpretare" la storia, piuttosto che "sufficientemente maliziosi". Per scriverla ed interpretarla come più comodo ed opportuno (quello dei vincitori e dei relativi eredi).
Al netto del parere degli "accademici" e degli impiegati del catasto (giustamente legati a termini burocratici-amministrativi), contesto allo estensore dell'articolo che l'aggettivo "Real" sia "anteposto da qualche anno", per fervore "revisionistico" dei fatti e della storia.
Se avesse avuto la bontà di leggere le parole scritte il 12 marzo 1861 dal Generale Gennaro Fergola nel dar l'addio alle truppe prima della resa, avrebbe trovato il riferimento tanto (da lui) contestato : "Real Cittadella".
Quindi, 160 anni fa così la denominava chi la comandava e ne sapeva certo più dei "cattedratici"..
Sarà stato "ingenuo ed infantile" pure lui, visto come gli è finita per averla difesa. Quanto al resto, non credo proprio che Messina abbia "cancellato" volutamente i resti della fortezza per "odio" particolare contro i Borbone.
La città, nel corso della sua storia, è stata "rasa al suolo" più volte, ad iniziare dai punici .. figuriamoci, dovrebbe avercela con mezzo mondo. Ultimi gli "alleati" che la bombardarono durante l'invasione del 1943 !
E, per inciso, l'Italia "democratica" inviò carri armati e paracadutisti a Reggio Calabria nel 1970.. qualche morto ci fu, è sicuro Angelo Sindoni che non avrebbero cannoneggiato la città se gli insorti fossero stati armati ?
P.s. per coloro cui interessasse : mi dichiaro repubblicano (che non apprezza granché "questa" repubblica) ma tra Borboni e Savoia non avrei avuto dubbi da che parte stare .. "romanticamente" !
Vincenzo Mannello
Questo fu l’addio inviato da Fergola alle sue truppe la sera del 12 marzo: «Uffiziali, Sottouffiziali e Soldati, è questo l’ultimo ordine che io vi rivolgo, e la mano mi trema nel vergarlo. Allorché presi il comando di questa Fortezza e di voi tutti, sacro giurammo di difendere fino agli estremi questo interessante sito fortificato che la Maestà del Re (N.S.) aveva affidato al nostro onore e alla nostra fedeltà. Avete ben veduto che tutti abbiamo mantenuto il giuramento, serbando fedeltà, attaccamento e devozione al nostro amatissimo sovrano Francesco II. Immensi sono stati gli sforzi che per lo spazio di cinque giorni si son fatti colle nostre artiglierie per distruggere i lavori di attacco che il nemico costruiva sulle alture della città di Messina ed in altri siti ancora, ma poco effetto à provocato il nostro fuoco, sì perché quasi tutti i lavori erano al di là della portata delle nostre artiglierie, sì perché altri trovavansi mascherati da casamenti ed oggetti occasionali. Quindi l’inimico profittando di tali suoi vantaggi à compiuto inosservato la maggior parte dei suoi lavori. Poco dopo il mezzo giorno di oggi e precisamente quando estenuati di forze prendevate un po’ di ristoro, à aperto simultaneamente un fuoco formidabile contro questa Real Cittadella, che l’à ridotta in poche ore nello stato in cui si ravvisa, ad onta di quella resistenza che si è potuta fare colle nostre artiglierie di una portata molto inferiore a quella delle sue. Veduto dunque che inutile si rendeva qualunque altro nostro mezzo di difesa, e che eravamo a causa dello incendio sviluppatosi minacciati da una sicura esplosione della gran polveriera Norimbergh e suo magazzino attiguo anche pieno di polvere, se non vi si apportava un pronto rimedio, è chiesta per ben due volte per mezzo di parlamentari una tregua al nemico per la durata di 24 ore. Ma vedendo egli di quanto aveva col suo fuoco prodotto di danno e della trista posizione in cui eravamo, à rigettato la mia domanda, e mi ha fatto sentire che dovevamo renderci a discrezione, e che se a tanto non divenivamo e non gli si dava risposta decisiva per le ore 9 della sera, avrebbe riaperto il fuoco con l’aggiunta di altre batterie che ancora non erano punto a vista della fortezza. In tale stato di cose, riunito il consiglio di difesa e sentitone anche il parere, è stato forza sottoporci a quanto il nemico imponeva. Quindi mio malgrado e vostro, domani la Piazza sarà resa. Così non avrei giammai ceduto, ma gli incendi che seco noi minacciavano 1000 e più tra donne e fanciulli mal ricoverati, e che vi si appartengono, e la nostra eccezionale posizione, perché le potenze europee àn permesso una aggressione non mai letta nelle istorie, e noi da chicchessia sperar non potevamo soccorso di sorte, mi ànno obbligato a cedere. Cediamo alla forza perché sopraffatti dalla superiorità dei mezzi e non dal valore dei vincitori. Certo che la nostra resistenza non avrebbe salvata la Monarchia, sagrificata con la resa di Gaeta; non ci restava che salvar solo l’onore militare e nazionale: e mi lusingo che lo stesso nemico ci farà giustizia di concedercene l’orgoglio, come spero che voi me la farete: nel convenire d’aver visto con voi fino all’ultimo i disagi, le privazioni, ed i pericoli. Un dovere però mi resta a compiere ed è quello di esternare a voi tutti i miei sentiti e distinti ringraziamenti per aver saputo ognuno così bene secondare le mie vedute nel difendere questa Real Cittadella, ove rinchiusi per circa 8 mesi abbiamo dato le più grandi prove di abnegazione e di fedeltà al nostro Augusto Sovrano Francesco II. Se l’abbiano particolarmente però i signori generali De Martino, Combianchi ed Anguissola, Ten. Col. Recco, Capitani Lamonica, Di Gennaro e Lauria; e fra tutti il mio capo di stato maggiore ed Uffiziali dello stesso signor Ten. Col. Guillamat, Capitani Cavalieri e Subalterni Gaeta e Brath. Io vi ringrazio tutti di cuore, poiché tutti avete gareggiato nella difesa della rocca. Accettate tutti vi prego tali miei ringraziamenti che partono da un cuore leale e riconoscente. Miei bravi compagni d’armi, nella mia lunga carriera militare di 47 anni ò veduto diverse peripezie non dissimili alla presente, ma però la provvidenza o presto o tardi ha fatto sempre rilucere la sua giustizia quando meno si attendeva, per cui non ci perdiamo d’animo, e confidando in essa auguriamoci giorni più felici, i quali compenseranno i tristi e dolorosi che abbiamo sofferti. Mi avevo prefisso di porre ai piedi del Real Trono le mie umili suppliche per chiedere alla munificenza Sovrana un compenso speciale al vostro attaccamento, alla vostra sperimentata fedeltà, ma la sorte avversa delle armi me lo à impedito e con dolore mi divido da voi tutti, ma porterò scolpito profondamente nell’anima mia la rimembranza di voi, della vostra fede. Della vostra lealtà, del vostro militare coraggio. Non so quale sarà il mio destino ed il vostro in avvenire, ma se la mia età mi permetterà in seguito potervi rivedere, sarà sempre una vera gioia per me poter stringere la mano a qualcuno dei difensori di questa Real Fortezza, ai quali né le minacce, né i pericoli, né le lusinghe, né i provi esempi, né men la morte seppe far declinare da quella via d’onore che solo è sprone e ricompensa al prode che pel suo Re combatte per vincere o morire. Addio miei bravi camerati! Addio! La sventura ci divide, fede e lealtà fu la nostra divisa, e questa non si spogli giammai da noi, ciascuno di voi porti scolpita in care la nobile parola, che l’univa con nodo indissolubile al nostro sventurato, ma eroico sovrano. Fergola».