Serva Italia di dolore ostello
Le misure demenziali nonché liberticide imposte al
popolo italiano, e che minacciano di protrarsi per tutto l’anno di disgrazie 2020, sono il
capolinea di un lungo viaggio del quale il più degli italiani sono al buio per
essere stati non educati, ma formattati, da una scuola fatta apposta per
anchilosare menti, volontà e cuori. Alcuni, però, degli italiani, conservano
elementi di Logos di una cultura bimillenaria, sprazzi della quale potrebbero operare
cambi significativi.
Due donne coraggiose
Un’italiana così è Sara Cunial, parlamentare. In
un intervento di sei minuti, costei ha fatto esplodere una vera bomba a
Montecitorio, tacciando il governo di menzogna, latrocinio e omicidio. Da un
altro angolo di quello che una volta fu la Cristianità si è fatta viva Dagmar
Belokovitsch, parlamentare anche lei, austriaca, che ha lanciato identiche accuse al suo governo. Se le
due si conoscessero prima dei loro interventi non mi è dato sapere.
Chi ha la memoria lunga è in grado di chiedersi se
siano proprio i governi da biasimare per tali misure, e se buttare fuori
politici e intrallazzisti di tutte le leghe cambierebbe veramente qualcosa. Mi
limiterò al Bel Paese, giacché non ho elementi di giudizio per l’altro.
La leggerezza, facilità e noncuranza con cui un
governo non eletto fa caso omesso della Costituzione, emette leggi draconiane e
opprime anziché proteggere i suoi cittadini, prova senza ombra di dubbio che le
tanto millantate istituzioni come “stato di diritto”, “democrazia”, “sovranità
popolare”, et similia, non sono che flatus vocis privi di significato. Il
verso di Dante che apre questo saggio la azzecca: servitù e dolore per gli italiani.
Ma da quando?
Per non andare troppo a ritroso nel tempo, vivono
ancora testimoni oculari della perdita di sovranità
politico-militare. Dal 1945, l’ambasciatore
di Zio Sam, con il rispaldo di un buon centinaio di basi militari di
occupazione, detta e i governi
obbediscono.
La sovranità
monetaria fu strappata all’Italia allo stesso tempo, con la Am-Lira di
occupazione. Oggi ce l’ha la Banca Centrale Europea, con un Euro dotato di una
contraddizione plurisecolare di riserva di valore e mezzo di scambio, che favorisce
speculatori e usurai e penalizza le forze del lavoro, la spina dorsale
dell’economia reale che crea ricchezza.
La sovranità
economica, cioè il mondo del lavoro, è saldamente in mano alla criminalità
organizzata, in ringraziamento per il servigio reso nel facilitare agli Alleati
l’entrata nel paese. C’è chi si straccia le vesti per lo “scandalo”, o
“sconcio”, di uno Stato che si abbassa a negoziare con la Mafia. Chi lo fa non
capisec, o meglio è stato addestrato a non capire, che lo Stato non ha scelta;
il più debole deve sottomettersi al più forte. Ma nessuno si chiede perchè.
Si tratta
del tabù dei tabù. Il cittadino che si trova stretto tra la ganascia della
Mafia, che commina ed eseguisce la pena
capitale, e quella di uno Stato che al più lo mette al fresco per un certo tempo,
non ha dubbi su chi obbedire. Ecco il perchè di una generale mancanza di
entusiasmo davanti a libri che espongono i fatti senza risalire alle cause. “La
sovranità appartiene al popolo”, come recita l’articolo 1 della Costituzione, la
fa da falso in atto pubblico.
Esiste una prova di tal servaggio? Esiste. Fu il diktat (senza quel nome, naturalmente) che
i vincitori del conflitto imposero al governo De Gasperi nel 1947, a Parigi. A
differenza del Trattato di Versailles del 1919, le cui clausole erano
pubbliche, quelle di Parigi del 1947 rimangono segrete. Pochi italiani sanno
della sua esistenza, e nessuno ne conosce i contenuti.
Marcia su Roma?
Supponiamo che milioni di italiani rispondano
all’invito dei Gilet Arancioni del Generale Pappalardo di marciare su Roma per
metter fine al disordine imperante. E supponiamo per di più che la loro proposta
di far stampare dal Tesoro 700 miliardi di Lire Italiche da affiancare all’Euro abbia successo. Cosa
avverrebbe?
Si ritornerebbe allo status quo in un tempo più o meno breve, ma si ritornerebbe. Per
capirne il perchè, prestiamo attenzione alla natura di quei 700 miliardi. Essi
soffrirebbero l’identico difetto di tutte
le monete emesse dal tempo di Re Creso di Lidia (m.546 a.C.) ad oggi. Riserva
di valore e mezzo di scambio continuerebbero a coabitarvi, permettendo a chi
possiede il primo di imporre un tributo
a chi ha bisogno del secondo. Quel tributo si chiama usura.
La sua esistenza ontologica è dovuta allo sbilancio tra domanda e offerta. Chi
possiede riserva di valore indeperibile, può scegliere quando e come trasformarla
in mezzo di scambio spendendola. Chi produce derrate deperibili, quella scelta
non ce l’ha. Deve vendere, e se il
compratore gli impone un tributo usurario, deve
pagarlo.
La sua esistenza storica data dalla malaugurata decisione di Re Creso. Gli
storiografi incastonati non vedono i suoi effetti come guerre senza fine, la
lotta di classe plurisecolare tra chi guadagna senza lavorare a spese di chi
lavora senza guadagnare, lo smantellamento della Cristianità, il furto dei
mezzi di produzione alle famiglie, la distruzione delle monarchie, la
Rivoluzione, e tant’altro. E Marx la occulta del tutto, inventandosi una lotta tra
“padroni” e “lavoratori” tanto fittizia quanto scellerata. Come evitare, o
meglio sconfiggere, l’usura?
Evochiamo lo spettro di Silvio Gesell (1862-1930).
È dal 1906 che va ripetendo: Non emettete 700 miliardi se avete bisogno di
mezzo di scambio per quella somma. Emettetene dieci, ma fateli circolare 70
volte, che è lo stesso. O anche due,
che circolando 400 volte, metterebbe a disposizione degli italiani ben 800 miliardi. Non è utopia. È storia.
Nel luglio del 1932, quando Mussolini era
all’apice del potere, un esperimento monetario faceva scalpore oltr’Alpe. Il municipio
di Wörgl, cittadina del Tirolo austriaco di 4mila abitanti, stampava
buoni-lavoro per sopperire alla scarsezza di liquido e conseguente
disoccupazione dovute alla sottrazione deliberata di contante da parte delle
banche. I buoni, quotati alla pari con lo scellino ufficiale, pagavano
un’imposta di tesoreggiamento dell’1% mensile, registrata sul biglietto
obliterando una delle dodici caselle ivi stampate. Dopo un anno si cambiava il
biglietto usato con uno nuovo, fornito dal municipio, il quale accettava buoni
in concetto di tasse. I buoni circolavano,
come fa il sangue che parte dal cuore per ritornarvi.
Dopo 14 mesi, la Banca Centrale cassò
l’esperimento. Ma i risultati, ancora oggi visionabili in Rete, parlano da
soli: una misera emissione di 5300 scellini, circolando 450 volte per una somma
di 2,5 milioni, fece rivivere l’economia locale, costruì un ponte sul fiume Inn
(ancora in funzione), rinnovò fognature, strade, e costruì perfino un
trampolino da sci.
Non mi è dato sapere se gli usurai consiglieri del
Duce lo informarono dell’assunto. Ad applicarne il metodo ai 45 milioni di
italiani di allora, la storia avrebbe preso un corso diverso. Quale, che il
lettore faccia sbizzarire l’immaginazione.
Una Lira Italica, proposta dai Gilet Arancioni ma
privata della funzione di riserva di valore, favorirebbe le forze del lavoro, sferrando
un colpo durissimo, se non mortale, allo strapotere bancario. L’abbondanza di
mezzo di scambio, dovuta esclusivamente
alla velocità di circolazione e non alla quantità di contante, renderebbe
inutile tanto il credito truffaldino mascherato come “prestito”, quanto la
necessità di “aprire conti correnti”. A nessuno converrebbe trattenere più
contante del necessario per spese giornaliere. Per quelle straordinarie vedi infra.
Né la speculazione né la Grande Usura sarebbero più in grado di imporre
tributo a chicchessia. Chi volesse ancora vivere di interesse e manipolazioni
finanziarie, potrebbe farlo con l’Euro.
Potrebbe la
Lira Italica a circolazione forzata e libera da usura restituire al paese le
tre sovranità perdute? Vediamolo.
Non conosco i contenuti del diktat di Parigi, ma non è difficile indovinare che proibissero all’Italia
di emettere moneta propria, e che la
decisione di Aldo Moro e Giovanni Leone di emettere il pezzo di Stato da 500
lire non sia stata estranea a quel che avvenne.
Ma sorvoliamo. Il diktat non si pronunzia su circolazione forzata. Per cui la misera
somma di dieci, o anche di due, miliardi non indurrebbe Zio Sam a reagire. La
Lira Italica, inconvertibile e circolante solo
all’interno, non intaccherebbe le prerogative dell’Euro, cosicché anche la
BCE ci lascerebbe in pace. La sovranità monetaria ritornerebbe all’Italia.
La Lira Italica, sostenuta dall’autorità politica,
avrebbe il salutare effetto di mettere fuori
legge l’interesse, “principio” pragmatico ed iniquo che concede al denaro,
sterile per natura, una fecondità artificiale, e del quale non sembrano essere
al tanto neanche economisti di grido[1].
E la sovranità economica? Il mafioso che domandasse
“il pizzo”, non troverebbe somme ingenti in nessun esercizio, dato che non
converrebbe a nessuno “risparmiare”. E se volesse lui tesoreggiare Lire Italiche in eccesso ai suoi bisogni, vedrebbe
il suo gruzzolo diminuire inesorabilmente. In 100 mesi (otto anni e quattro
mesi), esso sparirebbe del tutto[2].
“Ma come risparmiare?”, si chiedono i patiti di
codesta pratica. Niente paura. Si risparmia, anche più di prima, ma non nel
forziere o sotto il proverbiale materasso. Si risparmia in banca, in una “nuvola” monetaria del tipo di quella informatica.
La banca, costretta a prestare a interesse 0% o a tesoreggiare a interesse
negativo, si premurerebbe di trovare prestatari veri, e dovrebbe fare quello
che oggi dice di fare ma non fa: prestare denaro che ha invece di crearlo dal nulla con una truffa detta “credito”
sul quale chiede un interesse indebito. Per il servizio, il prestatario pagherebbe
un onorario convenuto.
Gli esempi che seguono, non esaurienti, danno un’idea
delle potenzialità della Lira Italica.
Il nuovo ponte di Genova, appena finito, è costato
200 milioni di euro in 14 mesi di lavoro. A quanto ammonti l’usura pagata per quei
200 milioni non importa tanto. Il dato importante è che solo 500mila Lire Italiche a circolazione
forzata, libere da usura, lo avrebbero costruito nello stesso tempo circolando 400 volte, meno delle 450 degli
scellini di Wörgl nel 1932-33. Lo stesso vale per qualunque struttura, pubblica
o privata.
La Lira Italica garantirebbe la piena occupazione.
Qualunque lavoro, anche precario, verrebbe compensato in contanti e alla
consegna, senza remore burocratiche o altro.
Tutte le linee ferroviarie intra-italiane potrebbero
godere di alta velocità, non solo le internazionali[3].
La Circumetnea di Catania, di interesse spiccatamente turistico, potrebbe offrire
trazione a vapore e uniformi d’epoca
per attirare i turisti patiti di quella tecnologia.
Unire la Penisola alla Sicilia non richiederebbe un ponte, ma un più semplice tunnel sommerso come nel Kattegat,
invisibile, che collegasse le due sponde non tra i punti “più vicini”, ma più
convenienti, diciamo dalla tangente calabra alla stazione ferroviaria di
Messina.
La Lira Italica ha tutta la potenzialità di rimboschire il territorio, deturpato da
un dissennato disboscamento che lo priva da secoli della coltre verde che
attira la pioggia.
La pendenza di fiumi e fiumiciattoli con
abbondante volume d’acqua è in grado di generare tutta l’energia elettrica necessaria al paese senza bisogno di dighe
tanto imponenti quanto inutili. Il vortice di Schauberger (1885-1958) sarebbe
più che sufficiente.
Le isole senza acqua potabile avrebbero ciascuna
il suo impianto di desalinizzazione,
rendendole così abitabili permanentemente.
La stessa Lira è in grado di migliorare la salute degli italiani (a prescindere
dalla bufala del coronavirus) producendo concimi organici come servizio
pubblico e permettendo di fermare una volta per tutte l’avvelenamento dei suoli
agricoli con fertilizzanti e pesticidi che deprimono la resistenza immunitaria
degli italiani.
Il limite superiore al da fare verrà determinato
dalla mancanza di manodopera, non dal tradizionale “non ci sono soldi”.
Ritornerebbe la dottrina del giusto prezzo e del
salario equo, cioé famigliare. Il lavoro verrebbe retribuito proporzionalmente
ai bisogni e non all’abbondanza o scarsezza delle prestazioni. “Stipendi da
capogiro” potrebbero percepirsi, ma non tesoreggiarsi, pena il deprezzamento
per mancata spesa. In banca, quei soldi sarebbero disponibili a chiunque ne
avesse bisogno, a interesse 0% naturalmente.
Le madri verrebbero generosamente retribuite per il necessario e
duro lavoro domestico; si costruirebbero strutture che l’usura non permette:
strade urbane a doppio livello, con traffico sul ponte superiore e parcheggio
in quello inferiore; ritornerebbe la
bellezza e la durabilità, senza obsolescenza programmata e impacchettamento costoso
e innecessario; eccetera.
L’avvento inaspettato dello spauracchio camuffato da
emergenza sanitaria sta spingendo il popolo italiano verso l’unità più di
Risorgimento, fascismo e democrazia messi insieme. Ma una unità basata su una
comune ostilità non dura. Ci vuole ben altro. Se la seconda marcia su Roma avrà
successo, prometto un saggio ulteriore.
Silvano Borruso
21 maggio 2020
[1] Dante mette usurai e sodomiti nella stessa
bolgia, i primi per rendere fecondo il denaro e i secondi per rendere sterile
l’atto sessuale.
[2] Microsoft di Bill Gates si vanta di tesoreggiare
ben 56 miliardi di dollari in contante “per far fronte ad un anno di zero
vendite”. Una tassa di magazzinaggio del 12% annuale costerebbe loro 18,6
milioni giornalieri.
[3]. I 60mila chilometri di linee cinesi, riducendo i
tempi di viaggio, promuovono unità politica, non utile finanziario.