IL MERCATO LIBERO E IL LIBERO CONSENSO
di Giuseppe Campolo
di Giuseppe Campolo
In un tempo non lontano, a nessuno veniva in mente di qualificare libero il mercato, perché lo era naturalmente; il mercato è libero, per qualità intrinseca, dalla notte dei tempi. Ora che si snatura tutto, alcuni padroni del libero mercato fanno di noi quello che vogliono. E tal mercato, che libero non è affatto, ha bisogno di tanta pubblicità a questa sua millantata alta qualità, per renderla reale nelle menti visto che non può esserlo in concreto. Mercato libero, vivo solo in pubblicità, è un mantra, una parola d'ordine, un miraggio, un sogno ipnotico. Una trappola.
“Lo sai che col mercato libero si fanno le frittelle impanate? Te lo assicuriamo noi, basta che dici sì, qui, semplicemente al telefono; e inoltre ti assicuriamo che poi paghi di più per sempre. Sempre è bello. Di' ancora una sola parola e sarai salvo, un sì facile facile, e si aprirà il privilegiato conto Mammalabanca. Tu metti lì i tuoi soldini e noi ce li prendiamo senza disturbarti punto.” Un punto esclamativo.
Una volta, fra il cliente e l'artigiano o il negoziante, c'era un'intesa, un rispetto personale, una lealtà che a volte durava tutta la vita. Il cliente si sentiva un traditore, se andava dal concorrente senza un motivo irriconciliabile, senza aver ricevuto un grave torto dal suo abituale fornitore, che di solito invece coccolava il cliente e lo favoriva in ogni modo. Ora sballottiamo da un gestore all'altro, da un inganno all'altro come prostitute, senza altro parametro di scelta che un miraggio di miracoloso risparmio: un centesimo al k.
E tutto il resto è franchising: il venditore non conta nulla, è un mero esecutore; sembra un imprenditore con gli attributi dell'essere umano, ma non è vero, egli non ha facoltà di decidere cosa comprare e cosa vendere, né dirige le strategie di vendita e di acquisto e non può mica scegliere i suoi fornitori; non è proprietario del suo negozio, ma egli stesso ha un proprietario.
Nel mercato senza aggettivi, i produttori avevano fiducia nei propri clienti rivenditori o elaboratori di materie prime, intrattenevano rapporti personali, spesso stringevano delle vere amicizie. C'era posto per la simpatia e la stima, la considerazione umana, la solidarietà che spesso era spinta oltre i limiti banali dell'ipocrisia. Centro di solidarietà economica e politica, confronto culturale, socializzazione, era il negozio di un tempo. Non si scambiavano soltanto merci, ma opinioni e intesa (e dunque era pericoloso per il dominio, esattamente come la famiglia patriarcale, che era un luogo di potere decentrato, troppo decentrato per non modernizzarla). Era un mercato, dicevo, con caratteristiche umane; mentre il millantato mercato libero è disumano, e vi si scambiano soltanto merci, mai i biglietti da visita. Mai ci si presenta l'un l'altro: i Nessuno sfiorano altri Nessuno. Siamo i consumatori, morti nella qualità di persone. Le città sono morte, farcite di umanità morta nella mente. Siamo in ostaggio di un'immane catena di parchimetri con mutevoli forme: parvenze, larve, simulacri di un'entità sovrana a cui occorre dare l'appropriato nome di Giove. Solo che quello si faceva la giovenca e qualche altra, o altro, mortale, ma questo Giove qui si fa tutti noi.
Ora, guardatevi dai gestori e dalle grandi offerte, vi dovrei dire. Ma il fatto è che non abbiamo scampo, non ci possiamo difendere mica. Siamo prigionieri dei fornitori dei servizi, delle banche, della politica imbonitrice, prigionieri nel nostro stesso paese. Per intraprendere qualunque cosa lecita, abbiamo bisogno di un'autorizzazione preventiva a pagamento; come dire che dobbiamo riscattare ogni nostro diritto con un pedaggio. Solo per le attività illecite non c'è bisogno di permessi, e c'è meno rischi che andare in bicicletta: solo il cinque per cento dei reati vengono perseguiti. Noi siamo le prede di bracconieri legali e illegali.
I bracconieri ci vogliono schedare, catturare in pseudo effige con una carta fedeltà. Sembra che ai colossi renda strapparci capziosamente informazioni personali, sbeffeggiandoci con un banner rassicurante che qualcuno accreditato si prenderà cura della nostra privacy, privacy che stracceranno in tutti i modi col nostro consenso, obbligato se vogliamo comunque campare