mercoledì 30 maggio 2018

IL MINOTAURO GLOBALE.

Quella del “Il Minotauro Globale” è una di quelle letture che non puoi non farti tutta
d’un fiato. Scritto dall’ex ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis, economista
di scuola marxista, qualche anno fa, all’indomani della crisi finanziaria del 2008 e
sebbene imperniato su tematiche di pura economia e finanza, non manca di
esercitare una sua particolare suggestione, a causa di un testo scorrevole e di facile
comprensibilità, caratteristiche queste, ben difficili da reperire altrimenti in testi del
genere, il più delle volte caratterizzati da avvitamenti in tecnicismi e farraginosità
linguistiche tali, da farne dei veri e propri “polpettoni” ad uso e consumo di ristrette
cerchie di addetti ai lavori.
Principio cardine del testo, è una storia della graduale finanziarizzazione
dell’economia mondiale, attraverso l’ottica del concetto di “eccedenza”. Quel
“sovrappiù” produttivo che prenderà corpo sin dalla trasformazione dell’umana
economia da fatto di pura sussistenza, frutto di un’impostazione nomade ed
instabile delle primeve comunità umane, alla loro stabilizzazione e definitivo
consolidamento attraverso agricoltura ed allevamento e ad una sempre più
articolata organizzazione sociale. Quest’ultimo fenomeno sarà l’elemento che
innesterà concretamente il fenomeno delle eccedenze, ovverosia di quel valore
aggiunto che, passando dal possesso di surplus di materie prime (grano, frutta,
bestiame, etc.) vedrà, all’alba della Rivoluzione Industriale, attraverso fenomeni
come l’esproprio e l’abbandono coatto delle terre coltivabili in Irlanda e la loro
trasformazione in “enclosure”, date in subaffitto a ad ex contadini, con il crearsi di
attività produttive di massa, organizzate in fabbriche e con i relativi guadagni dei
primi capitalisti, il venirsi a determinare della definitiva saldatura tra valore aggiunto
e quel plusvalore di marxiana memoria che andrà via via, assumendo una valenza
sempre più collegata all’inarrestabile finanziarizzazione dell’economia.
E tutto d’un tratto, il nostro ci scaraventa ai primordi del XX secolo. Allora i cambi e
le transazioni finanziarie internazionali erano regolate dal “Golden Standard”,
ovverosia le varie valute erano scambiate con tassi fissi, agganciati al valore dell’oro.
E la cosa sembrava, tra mille impicci e sbalzi, procedere benino. Ma il grande balzo
della Seconda Rivoluzione Industriale, di natura fordista e taylorista, oltre a portare
ad un vertiginoso incremento della produzione industriale dell’intero mondo
occidentale, reca con sé la tentazione di poter lucrare sul valore aggiunto di quelle
attività. Se sino a quel punto il Golden Standard aveva garantito un sia pur fragile

equilibrio, (legando i governi dei vari paesi al valore dell’oro ed inibendo, pertanto,la
tentazione di immettere sul mercato, eccessive quantità di valuta, creando
perniciose ondate inflattive, sic!), questo ultimo sarebbe stato messo a durissima
prova, proprio dalla tentazione di creare moneta “ex nihilo”, lucrando sul valore
aggiunto delle varie attività economiche.
Inizialmente, la cosa sembrò procedere bene, sin quando al valore nominale dei vari
titoli non corrispose più quello delle attività di riferimento che, a causa di fisiologici,
ma imprevisti cali di produzione, gettarono nel panico azionisti e risparmiatori che,
nel vendere frettolosamente i titoli di cui sopra, provocarono una vera e propria crisi
di insolvenza proprio di quelle istituzioni finanziarie che, della scommessa sulle
prestazioni delle varie attività economiche, si erano fatte garanti. A chiudere furono,
via via, migliaia di banche ed attività economiche ad esse correlate tra fabbriche,
imprese e compagnia bella. Nulla fu risparmiato da quella spaventosa crisi. Nulla e
nessuno. L’intero mondo industriale risentì di quella crisi. Gran Bretagna e Paesi
Scandinavi uscirono dal Golden Standard per meglio poter difendere le proprie
riserve valutarie. La Germania di Weimar, fu mortalmente colpita da quella
spaventosa crisi. Una massiccia ondata inflattiva ridusse sul lastrico milioni di
tedeschi.
Detto per inciso. La tanto vituperata “Italietta” fascista, quasi non fu toccata dalla
crisi, se non in minima parte e questo, grazie ad una serie di provvedimenti
economici connotati da un forte intervento del settore pubblico nell’economia,
varati anzitempo.
Nel tentativo di arginare la crisi, gli Usa cercarono di imporre dazi alle importazioni,
ottenendo solo un appesantimento della crisi, determinato dalle rappresaglie delle
nazioni esportatrici. Il Secondo Conflitto Mondiale, rappresentò l’occasione-principe
per gli Usa di riprendere il volano di una crescita senza precedenti, grazie al
potenziamento programmato dell’industria bellica. La vittoria globale statunitense,
rappresenterà l’occasione per inaugurare il proprio dominio non solo nell’ambito
meramente politico ma anche, e soprattutto, in quello dell’economia e della finanza.
Il tutto, senza assolutamente dimenticare la tragica lezione della crisi del ’29.
Assieme a Yalta e Teheran, quello di Bretton Woods nel ’44, sarà l’accordo che
inaugurerà l’era del capitalismo globale a conduzione americana. Protagonisti
dell’incontro, accanto ai rappresentanti delle altre nazioni vincitrici, sarebbero stati
per la delegazione Usa Harry Dexter, e per quella britannica nientepopodimeno che

lo stesso John Maynard Keynes, ambedue nel ruolo di veri e propri architetti del
Nuovo Ordine Mondiale.
Quest’ultimo avrebbe trovato la propria attuazione in un sistema di tassi di cambio
fissi che legavano insieme le economie capitaliste, accompagnato ad un particolare
meccanismo di controllo (GSRM), imperniato sul Dollaro Usa quale valuta universale
di riferimento, a sua volta agganciata all’oro, per il simbolico valore di 36 Dollari
l’oncia. Pertanto tutte le valute del mondo occidentale sarebbero rimaste
agganciate a questo valore, con un minimo “range” di oscillazione. Ma al fine di
rafforzare e consolidare definitivamente l’intera costruzione, bisognava conferire un
indirizzo all’economia mondiale, tale da evitare il verificarsi di altre disastrose crisi
finanziarie, quali quella del ’29.
Con un’astuzia ed una spregiudicatezza senza precedenti, gli Usa decisero, in barba a
tutti i risentimenti e le stupite contrarietà di Francia, Gran Bretagna e delle nazioni
vincitrici dell’ultimo conflitto mondiale, di finanziare ed incentivare la crescita
industriale di Germania, Giappone (ed Italia, sic!). Questo, al fine di favorire
l’interscambio tra gli Usa e queste tre nazioni occidentali. Da una parte, gli Usa,
pompando i dollari delle proprie eccedenze finanziarie nelle economie delle tre
nazioni perdenti, sotto forma di investimento diretto, di aiuti o di assistenza, ne
avrebbero favorito le esportazioni e la crescita interna, arrivando addirittura a far
che Giappone Germania mantenessero un'analoga posizione di plusvalenze a livello
regionale, anche se tutto questo andava a discapito del proprio bilancio. Dall’altra,
però, avrebbero creato dei nuovi mercati per i propri prodotti industriali, il tutto in
un circolo di virtuoso interscambio, il cui scopo preciso era quello di rafforzare ed
estendere via via il dominio del Dollaro urbi et orbi, ma anche, quello di evitare
pericolosi scivolamenti di ambedue i deficit, sia quello interno che quello esterno,
verso quelle tanto temute ed incontrollabili, crisi finanziarie.
Da sottolineare il vivace contrasto tra Harry Dexter e John Maynard Keynes. Un
contrasto imperniato non tanto su questioni meramente tecniche quanto, su due
visioni dell’economia ( e della politica, sic!) radicalmente differenti. Da una parte
Keynes insistette su un rafforzamento dei meccanismi di controllo delle eccedenze
(GRSM) a livello globale, tale da creare dei limiti all’azione della stessa finanza Usa.
Dall’altra Harry Dexter che, invece, insisteva su una forma di controllo attenuata, di
modo da lasciare le mani libere agli Usa ( ed alla finanza speculativa, sic!). A vincere

fu proprio Dexter, lasciando il grande Keynes e la sua buona fede, con un palmo di
naso.
“L’Età dell’Oro del Piano Globale”. Così Varoufakis, riprendendo una metafora dello
scrittore americano Gore Vidal. Un’Età che sarebbe durata sino al 1971, allorquando
di fronte al presentarsi di un grave momento di generale instabilità valutaria,
determinato dagli esorbitanti costi della guerra del Viet Nam, ma anche dalla
sfrenata corsa al riarmo con l’URSS, il Presidente Nixon avrebbe deciso di
abbandonare gli accordi di Bretton Woods, consentendo una maggior oscillazione
del valore del Dollaro, anche rispetto all’oro stesso, promuovendo quella politica di
rialzo degli interessi che, come un’araba fenice, avrebbe permesso al Sistema
Globale di continuare a perpetuarsi sotto diverse spoglie.
E così, senza pensarci due volte, gli Usa abbandonarono sia le politiche di rigido
controllo delle proprie bilance deficitarie (sia interna che estera...), sia quelle di
appoggio finanziario a favore della crescita dei vari paesi occidentali, a favore di una
incontrollata crescita dei propri deficit, finanziata dai flussi di capitali occidentali,
attratti negli Usa dagli alti tassi d’interesse. Queste politiche sarebbero state alla
base dell’instabilità economico-finanziaria degli anni ’70, e della crisi petrolifera,
apparentemente scatenata dal conflitto arabo-israeliano ma, alla cui base, vi
sarebbe stato quel rialzo dei tassi d’interesse che avrebbe ingenerato nei sia nei
Paesi Opec che nei distributori di materie prime (le famose Sette Sorelle), la
necessità di adeguare i propri prezzi al nuovo andazzo.
Il divertente, però, sarebbe arrivato nella seconda metà degli anni ’90, all’indomani
delle riforme liberiste dei vari Clinton e compagnia bella. L’abolizione della Legge
Steagall, che sanciva una netta divisione tra banche d’affari e banche di risparmio ed
il colossale flusso valutario dai vari paesi occidentali, riaprirono la strada alla
micidiale tentazione di produrre valori cartacei o denaro che dir si voglia, dal nulla.
Mentre, se la tentazione di stampare moneta in sovrappiù, da parte delle varie
banche centrali nei momenti di crisi, veniva via via abbandonata ed esorcizzata,
tramite rigorose politiche di controllo, sempre più imperniate su privatizzazioni e
tagli della spesa pubblica,andava invece prendendo piede la incontrollata diffusione
sul mercato di titoli azionari basati su crediti immobiliari, spesso costituiti dalle
assicurazioni sulla solvibilità di un qualsivoglia titolo.
In breve tempo, l’intero contesto finanziario mondiale, fu inondato di questi titoli, la
cui solvibilità sarebbe ben presto venuta meno, ingenerando l’esplosione di una

bolla speculativa che, partita dai mercati Usa, si sarebbe estesa a macchia d’olio,
trascinando con sé le economie di mezzo mondo in una crisi recessiva senza
precedenti. Ed anche qui, per arginare le altrui falle, i vari governi occidentali, Usa in
testa, avrebbero senza tanti complimenti, fatto ricorso a politiche di salvataggio
pubblico dei vari istituti finanziari coinvolti. Salvo poi, lasciar nuovamente liberi
questi signori di tornare a produrre valori cartacei dal nulla, senza alcun controllo,
fatta eccezione per la liquidazione dei vari “junk bonds/titoli-spazzatura” attraverso i
vari interventi pubblici di cui abbiamo parlato prima.
“Bancarottacrazia”, è il curioso sostantivo, con cui Varoufakis designa l’attuale fase
economica caratterizzata dal curioso processo per cui, quanto più un'organizzazione
privata ha successo, tanto più gravi sono le sue perdite e tanto maggiore il potere
che ne deriva, grazie al finanziamento del contribuente. Sempre a detta di
Varoufakis, il socialismo è morto durante “l'età aurea” del Minotauro globale e il
capitalismo è stato silenziosamente sbalzato di sella, nel momento in cui la bestia ha
smesso di governare l'economia mondiale” (???). Al suo posto avremmo un nuovo
sistema sociale: la “Bancarottacrazia”, appunto, ovvero il governo gestito da parte
delle banche in fallimento. Il tutto con il contorno di governi compiacenti ai
desiderata dell’Alta Finaza e di Paesi una volta emergenti, tipo la Cina, ma ora alle
prese con il problema di dover assolutamente incentivare un mercato interno
asfittico, per far fronte alla crisi dei Paesi importatori e, cosa assolutamente non
secondaria, alla prospettiva di una ventata di politiche protezioniste, così come ora
va prospettandosi con la neonata amministrazione Usa.
Un’analisi, quella del Varoufakis, sicuramente nitida e dettagliata a cui manca però,
a parere di chi scrive, l’identificazione di una soluzione più coerente con l’assunto
dell’intero testo. Riassumendo. Il problema centrale del testo è quello delle
cosiddette “eccedenze”, sia esse commerciali, che finanziarie. Il loro non
assorbimento genera delle vere e proprie tempeste finanziarie che scardinano
l’intero scenario economico mondiale. Alla base di queste crisi sta la tendenza a
produrre denaro dal nulla o qualsivoglia altro valore cartaceo, sia da parte delle
banche centrali, per sostenere la produttività e la domanda interna, al fine di
riassorbire le eccedenze di cui sopra, che, da parte della finanza speculativa, al fine
di realizzare spropositati guadagni, sempre all’insegna dell’apparente motivazione di
voler sostenere l’aumento della domanda interna, inizialmente conferendo un
determinato valore ad una certa attività economica, infine alzando il tiro con
scommesse virtuali (CDS, CDO e “junk bonds” vari...).

E poiché, il più delle volte, le banche centrali sono partecipate da istituzioni
finanziarie private, queste ultime finiscono con l’aver sempre le mani in pasta, nella
produzione di valori cartacei virtuali. Nel proporre quale soluzione ottimale per la
crisi finanziaria Europea, la prospettiva di un meccanismo in grado di assorbire per
intero le eccedenze, il Varoufakis ci offre una soluzione di tipo economicistico,
meramente tecnica, ma che, a parere di chi scrive, non va al fondo della questione.
Il primo punto è rappresentato dalla possibilità impunemente lasciata alle istituzioni
finanziarie di stampare liberamente valori cartacei dal nulla, che giuocoforza
arrivano a determinare disastrose bolle speculative. Il secondo punto riguarda il
legame tra banche centrali, emettitrici delle varie valute nazionali e le istituzioni
finanziarie, entrambi legate dal Signoraggio, ovverosia da quel costo di emissione
che, anziché esser reinvestito in opere a carattere sociale, viene direttamente
devoluto a quelle istituzioni finanziarie medesime, nel ruolo di socie partecipate
delle banche centrali.
E qui, pesante più che mai, rientra lo scottante tema della sovranità monetaria. Il
possedere una moneta che, de facto, ingenera un debito al portatore, senza che
questi possa fare o dire alcunché, lega automaticamente ed indissolubilmente il
destino dei popoli a quello delle istituzioni finanziarie e dei loro desiderata.
Il Minotauro Globale non è mai veramente morto, come invece afferma il
Varoufakis. Esso è vivo e vegeto più che mai; ha solo cambiato pelle, ma continua
nella sua deleteria opera. Al pari della mitica creatura cretese, carica a testa bassa e
distrugge tutto ciò che incontra. E poco fa che, a rimetterci siano uno o più popoli o
il mondo intero. La sua è una corsa sempre più folle, incontrollata e convulsa,
imperniata sulla cieca necessità di un sistema di autoalimentarsi, ingenerando una
crisi dietro l’altra.
E’ da qualche tempo che, in Rete e per i mercati, si è fatta strada un’altra “brillante”
idea, partorita dall’impunità di certa finanza: quella del “bit coin” o “moneta
virtuale”. Creata dal nulla, on line, questa forma di valore aumenta costantemente,
promettendo ai propri entusiasti (ed ingenui...) acquirenti costanti aumenti di valore
che, sinora, non hanno mancato di verificarsi. Ed anche qui, dobbiamo ritornare alla
domanda cruciale: chi emette questa valuta? Essa è figlia di Internet e di coloro che,
la Rete la controllano attraverso motori di ricerca, social e via discorrendo.
Ovverosia i Soliti Noti, del Potere Globale.

Pertanto, che si avvedano presto gli sprovveduti acquirenti di “bit coin”, la fregatura,
la bolla speculativa è dietro l’angolo! A centocinquat’anni e passa dalla morte di
Marx, ci rimane la giusta considerazione dell’analisi di un meccanismo, quello della
società del capitalismo “avanzato”, che divora sé stesso e che, perciò stesso, ora più
che mai, necessita di una radicale revisione e di una “messa in sicurezza” tali, da non
consentire ulteriori tentennamenti e rinvii. Stavolta ne va della sopravvivenza
dell’intero genere umano. UMBERTO BIANCHI