FALSIFICARE LA MEMORIA (parte quinta)
3.3 Campi di sterminio fascisti?
Gli intellettuali di Sinistra mi scrivono che tra l'estate del 1942 e quella del 1943 furono attivi sette campi di concentramento per civili sotto il controllo della II Armata (che aveva la competenza su Slovenia e Dalmazia). Ammettono che sia arduo fornire una stima attendibile del numero dei deportati sulla base delle fonti: una stima prudente parla di 20.000 civili sloveni internati. Un documento del Ministero dell’Interno, databile a fine agosto 1942, parla invece di circa 50.000 elementi, che sarebbero sgombrati dai territori della frontiera orientale in seguito alle operazioni di polizia in corso, di cui la metà donne e bambini. Secondo il comunismo di ritorno la deportazione della popolazione slovena in campi di concentramento e l’elevato tasso di mortalità degli internati dimostrerebbe in modo inequivocabile il genocidio voluto da Mussolini: atto conclusivo di una politica ventennale di “pulizia etnica dell’etnia slava” nelle terre di confine che trovava fondamento nel totalitarismo e nel razzismo fascisti. A completamento della loro tesi aggiungono altri fatti già noti e già descritti nei paragrafi precedenti: incendi di villaggi, fucilazioni di ostaggi e distruzione delle riserve di generi alimentari.
In realtà di “inequivocabile” qui c’è solo la confusione. Ci eravamo lasciati nel paragrafo 3.2 con la comune constatazione che le rappresaglie rientravano nel quadro della lotta anti-partigiana come risulta dalla stessa documentazione, ma ce ne siamo già scordati: evidentemente la sindrome del comunismo di ritorno in questi intellettuali è già degenerato nell’Alzheimer.
Ricordiamolo ancora: trattasi di misure di lotta anti-partigiana. A queste stesse esigenze va ricondotta anche la deportazione delle popolazioni civili: gli stessi intellettuali di Sinistra, contraddicendosi, lo ammettono quando parlano di civili “sgombrati… in seguito alle operazioni di polizia in corso”. Se quindi la motivazione dei fatti va ricercata in misure di ordine militare prese tra il 1942 e il 1943, non parliamo più di un’operazione politica ventennale! E infatti i documenti italiani, come abbiamo visto, non riportano motivazioni di ordine ideologico e razziale che hanno a che fare con l’insaturazione di un “nuovo rapporto tra vincitori e vinti”. Un po’ di onestà intellettuale, vi prego!
Non si capisce nemmeno più chi siano le vittime di questa politica di “annientamento”: prima si parla della deportazione degli Sloveni, poi della politica ventennale di “pulizia etnica dell’etnia slava”. Quando si usano parole così grosse bisognerebbe essere precisi: qui non sappiamo nemmeno chi siano con certezza le vittime!
La confusione raggiunge l’apice quando si parla di genocidio. Cosa sia o non sia un genocidio non è questione di opinioni: esiste una precisa definizione dell’ONU che con questo termine identifica << gli atti commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso >>. La popolazione slovena a quel tempo contava 1 milione di anime. L’intera popolazione jugoslava 16,5 milioni. Ma qui parliamo di una cifra tra 20.000 e i 50.000 internati. E i morti? La stima più pessimista parla di 4.000 morti, come vedremo tra breve.
A questo punto mi permetto di dire che il comunismo di ritorno mente spudoratamente su tutta la linea: i fatti e le interpretazioni presentate dai sinistroidi si contraddicono e si smentiscono da soli. Ecco quindi dimostrato come il messaggio politico sia presentato sotto le forme della scientificità, le quali nascondono in realtà un inganno storiografico. “Timeo Danaos et dona ferentes” direbbe Virgilio.
Convengo con gli intellettuali di Sinistra sul fatto che le condizioni nei campi di internamento erano terribili. Nel maggio 1942 una lettera di un dirigente cattolico di Lubiana segnala alle autorità militari italiane, che "nel campo di concentramento di Gonars ... gli internati soffrono atrocemente la fame". Dal rapporto destinato ai comandi militari e redatto da un ufficiale medico, emerge un livello di alimentazione insufficiente ed una situazione igienica inadeguata. Lo stesso afferma che la insufficienza alimentare si moltiplica per il freddo e la dispersione di calore corporeo vivendo i civili sotto tende, con abiti estivi e coperte insufficienti.
Nel campo di concentramento di Arbe complessivamente furono internati più di 10 000 civili, in massima parte vecchi, donne e bambini, cifra che non comprende coloro che sono passati in transito verso altri campi, nei territori occupati o nel Regno d'Italia. Inizialmente si trattava di Sloveni, poi anche ebrei fuggiaschi dalla Croazia. Secondo il Centro Simon Wiesenthal, il campo ospitò 15 000 prigionieri e 4.000 morirono. Secondo le autorità italiane, fino al 19 novembre 1942, nel campo di concentramento di Arbe i morti erano stati 289 (di cui 62 bambini). Il campo di Arbe fu gestito completamente da italiani. Il numero complessivo di vittime non è accertato, ma si stima che soltanto nell'inverno 1942-43 intorno a 1.500 persone persero la vita[129] a causa della denutrizione, del freddo, delle epidemie e dei maltrattamenti.
Della gravità della situazione nei campi scrivono anche ufficiali dei Carabinieri Reali nei loro rapporti ai comandi:
<< [...] nei campi di concentramento la vita è davvero grama e fiacca il corpo e lo spirito. Particolarmente nel campo di Arbe, le condizioni di alloggiamento e del vitto sono quasi inumane: viene riferito che frequenti sono i casi di morte, gravi e frequentissime le malattie" e inoltre richiamano "vari casi di decesso provocati dalla scarsità del vitto e da malattie epidemiche diffusisi per deficienza di misure sanitarie >>.
Cosa si può dire a commento di queste testimonianze? Niente. Bisognerebbe ascoltare e tacere per rispetto delle vittime. Invece no, qualcuno pretende anche di capire. Soprattutto di capire ciò che gli fa più comodo e per farlo cita le parole disumane pronunciate dal generale Gambara il 17 dicembre 1942, che sarebbero la prova finale dell’intenzione genocidaria di Mussolini e dei suoi generali:
<< Logico ed opportuno che campo di concentramento non significhi campo d'ingrassamento. L'individuo malato sta tranquillo [...] Le condizioni da deperimento dei liberati di Arbe sono veramente notevoli - ma Supersloda da tempo sta migliorando le condizioni del campo. C'è da ritenere che l'inconveniente sia praticamente eliminato >>.
Tutto chiarito? Niente affatto! Il documento citato afferma l’esatto opposto di quanto i comunisti di ritorno vorrebbero affermare: “Superloda – e cioè il comando militare italiano in Slovenia – sta migliorando le condizioni del campo”. Ma come, non si era detto che Mussolini aveva ordinato ai suoi generali di sterminare gli Sloveni? Ora invece viene fuori che i generali stanno facendo il possibile per allievare le sofferenze degli internati. O almeno così dichiarano, ma non è questo il punto: il punto sono le intenzioni – genocidarie? – che qui sono clamorosamente smentite!
Ricapitolando: si può parlare di genocidio secondo la definizione data dall’ONU? No. Si può parlare di una intenzione genocidaria? Nemmeno. E allora di cosa parliamo? Partendo da una tesi storiografica prefabbricata per trovare nei documenti le prove che non ci sono, a nessuno degli intellettuali di Sinistra è mai venuto in mente il dubbio che forse esistevano cause contingenti che impedivano alle autorità militari di risolvere un problema che affermavano di voler risolvere.
Farò l’atto di buona volontà di mettere assieme cifre provenienti da fonti eterogenee e non verificabili, che però mi sono state fornite dalla mia controparte, e proverò a trarre una conclusione:
- Nell'estate / autunno 1942 i morti ad Arbe erano meno di 300.
- La cifra si innalza a 1.500 nel solo inverno 1942-43
- Entro l’ 8 settembre 1943 dovrebbero essere morte circa 2.200 persone per arrivare alla stima più catastrofica fornita, che è quella di 4.000 morti complessivi.
Cosa ne deduco? Una brutale impennata del tasso di mortalità che nessun provvedimento amministrativo riusciva a fermare. E perché? Perché
<< già nel primo anno di guerra, si arrivò a razionare i generi alimentari di prima necessità: pane, farina, olio, sale venivano "tesserati", cioè distribuiti consegnando al negoziante un talloncino di una tessera assegnata ad ogni famiglia dagli uffici annonari dei comuni.
Si trattava di una tessera personale che definiva le quantità di merci e di generi alimentari razionati acquistabili in un determinato lasso di tempo. Anche le dosi acquistabili erano definite e uguali per tutti: la razione giornaliera di pane per persona a cui la tessera dava diritto era stata definita nel settembre del 1941 in 200 grammi e nel marzo del 1942 in 150 grammi.
Dal 17 maggio 1941 i panettieri poterono produrre pane utilizzando l'aggiunta del 20% di patate.
Il 1º ottobre un'ordinanza lo razionò ancor più: la razione giornaliera di pane per famiglia cui la tessera dava diritto fu di 200 grammi (o 170 gr. di farina di grano o 300 di farina di granoturco) e nel marzo 1942 di 150 grammi. Il 24 maggio 1942 fu fatto divieto di vendere il pane raffermo extra-tessera, ma doveva essere ripartito tra la clientela che regolarmente esibiva la carta annonaria >>. (Fonte: http://www.panenostro.com/tessera-del-pane/ )
Quindi gli tassi di mortalità nei campi fascisti erano in relazione con l’analogo problema della denutrizione della popolazione italiana. A un continuo aggravamento delle condizioni di vita degli italiani faceva riscontro, nei lager, un aumento proporzionale delle vittime per fame. Questo significa analizzare i documenti inserendoli nel quadro del proprio contesto storico. Finalmente – al di là delle interpretazioni di parte - diviene chiaro che se il Regime non trovava il pane per sfamare le famiglie dei soldati che combattevano nei Balcani, non poteva certo trovarlo per le famiglie dei partigiani!
Arrivato a confutare questo dato, gli intellettuali sinistroidi di cui si è detto mi hanno buttato fuori dal Gruppo. Infondo loro sanno bene cosa è la censura. Mi resta solo l’amaro in bocca nel constatare che ancora oggi c’è chi crede di essere dalla parte di quelli che hanno vinto la guerra, che la resa senza condizioni firmata l’ 8 settembre 1943 riguardi gli altri e di vivere davvero in un paese libero e sovrano. Ah, se gli asini volassero veramente…!
Enrico Montermini, 24/08/16