venerdì 28 febbraio 2014

KRAJINA Notizie - Febbraio 2014

KRAJINA Notizie      -    Febbraio 2014
                 
                                                   


 
A cura del Forum Belgrado Italia e CIVG

Veritas: identificati i resti di 14 serbi della Krajina                 18/10/2013

Trovati i resti di vittime serbe uccise durante la guerra in Croazia del 1991-1995.                            Secondo un rapporto della ONG Veritas, le vittime sono serbi provenienti dai territori della Lika, Dalmazia, Kordun, Banija e della Slavonia. I resti identificati eraono stati esumati da una fossa comune o individuali, oltre 12 anni fa.

Veritas possiede un’elenco con i nomi di 1920 serbi scomparsi durante la guerra in Croazia, nel territorio della Krajina Serba; di essi 1317 son civili e 516 donne. Veritas ha dichiarato che possiede indizi che ci sono circa 440 luoghi di fosse comuni ancora non esumate, che contengono vittime serbe, nonostante siano passati gia’ 18 anni dalla fine della guerra.


 Requiem in memoria delle vittime nei comuni della Krajina occidentale
                           
                        


Nella Chiesa di San Marco a Belgrado è stato servito il requiem ai serbi uccisi 18 anni fa in 14 comuni in Bosnia ed Erzegovina, la Coalizione delle Associazioni dei Rifugiati ha evidenziato nell’ occasione che non è ancora stato punito nessuno per questi crimini. Il requiem e’ stato servito dal vicario del Patriarca Irinej, il vescovo Jovan. Il presidente della Coalizione delle Associazioni dei rifugiati Miodrag Linta ha dichiarato che nell’azione dell’Esercito croato, del Consiglio di difesa croato e dell’Armata secessionista della Bosnia ed Erzegovina, dal territorio di quei comuni sono stati scacciati 120mila serbi, ne sono stati uccisi 1.650 soldati e civili, e numerosi villaggi sono stati incendiati e rasi al suolo.                                     10. 10. 2013

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Chicago: Corte locale ha accettato la querela serba contro MPRI

La Corte di Chicago ha accettato la querela contro la compagnia statunitense Military Professional Resources Inc. ( MPRI), delle organizzazioni serbe negli Stati Uniti:  ”Vittime del genocidio in Krajina“ e “Raduno serbo di Krajina“, scrive il quotidiano croato Slobodna Dalmacija. I serbi che vivono in America, accusano Military Professional Resources Inc. della partecipazione al genocidio e della pulizia etnica di 200.000 serbi della Krajina. Nella querela è stato precisato che quella compagnia ha addestrato l’esercito croato per l’azione Tempesta e che ha partecipato ad essa. Alla Corte di Chicago è stato consegnato l’accordo tra Military Professional Resources Inc. e la Croazia sull’addestramento degli ufficiali e soldati croati. Il giudice Ruben Castiglio della Corte federale di Chicago ha proclamato che tocca allo Stato dell’ Illinois condurre il processo. I serbi della Croazia che hanno presentato la querela vivono a Chicago, Milwaukee, Rockford e nelle città vicine. Il quotdiano ha riportato che i serbi chiedono l’indennizzo di 10 miliardi di dollari, ossia 25.000 dollari per ogni profugo serbo, perché la compagnia Military Professional Resources Inc. avendo addestrato gli ufficali dell’esercito croato per l’Operazione Tempesta è diventata responsabile della pulizia etnica del popolo serbo, delle persecuzioni e delle uccisioni nell’ex Repubblica della  Krajina serba.   10.012





 Intervista a Čedomir Marić,                                                                                                  Presidente dell’Associazione Suza (Lacrima) delle famiglie dei  spariti e caduti della Krajina
                                                                                                                               
  Di Gordana Bjelobrk
                                                       

Grazie al Novi list, l'ultimo quotidiano serio in Croazia, c’è  la possibilità di leggere quest’intervista, nella quale possiamo imparare qualcosa sulle vittime della parte serba nella cosiddetta  “Domovinski rat” (Guerra per la patria croata). Nell' opinione pubblica croata ciò non succede spesso.
Novi list ha parlato a Belgrado con Čedomir Marić, presidente dell'Associazione che in Croazia cerca i corpi delle vittime militari e civili. Quasi duemila famiglie serbe, profughe dalla Croazia durante l'operazione militare Tempesta cercano ancora i corpi dei loro cari. Potreste non crederci, ma le lacrime delle madri serbe sono uguali alle lacrime delle madri croate che cercano i loro figli spariti nella guerra.

''Loro ci prendono di mira, ci sparano, ma d'altra parte si è sentito un urlo perchè anche noi spariamo a loro...’’ Così negli anni novanta ha cantato Marijan Ban e la sua Daleka obala. Delle vittime di querra croate si parla spesso, ma di regola non si parla delle vittime dell’altra parte. Se davvero vogliamo impegnarci nel processo di pacificazione e perdono, bisogna tener conto che nella Guerra per la patria, anche dall’altra parte ci sono stati dei caduti e che le lacrime delle madri e padri, fratelli e sorelle, figli e figlie sono uguali sia dalla parte serba che croata. Le vittime maggiori sono quelle famiglie che hanno perduto i loro cari, al di là della parte in cui sono stati. E la situazione più difficile è di quelle che fino ad oggi  non hanno trovato i corpi dei loro cari. L’Associazione di famiglie dei spariti e periti Suza (Lacrima) di Belgrado, cerca i corpi dei parenti dei serbi rifugiati dalla Croazia. La tristezza ed il dolore in questa Associazione non sono minori di quello che provano le famiglie croate in cerca dei corpi di loro cari. A Belgrado abbiamo parlato con uno dei fondatori dell’Associazione Suza, Čedomir Marić. Il nostro interlocutore racconta del suo figlio morto, della ricerca degli spariti e delle sentenze dell'Aia che hanno riportato le relazioni tra la Croazia e la Serbia almeno un paio d'anni indietro.

Čedomir Marić, fondatore dell'Associazione Suza di Belgrado

-          Sono fondatore dell'Associazione che cerca gli spariti e per il momento faccio il consulente. Le dirò subito che della politica non ne voglio nemmeno parlare. Sono uno di quelli che hanno vissuto tragedia in famiglia e voglio parlare dal punto di vista delle famiglie delle vittime di guerra, come una persona che ha vissuto la cosa peggiore.  Prima e durante guerra ho lavorato nella Scuola media superiore a Knin. Educavo i ragazzi  e gli insegnavo di non  fare differenze tra le nazionalità. Così facevo anche con i miei figli. Mio figlio è stato catturato e poi ucciso a Knin, durante l’Operazione Tempesta. Non era armato. Era membro dell’ orchestra cittadina degli strumenti a fiato, suonava il sassofono. Quando è iniziata l’Operazione Tempesta lui ci chiedeva di partire, di fuggire. Mia moglie, mia madre ed io siamo partiti la sera, pensavo che sarebbe arrivato pure lui e che  saremmo evacuati  insieme. L’uomo non sa quando farà un errore, se lo sapesse non lo farebbe. Non siamo partiti da casa con l’intenzione di finire in Serbia ma con l’intenzione di allontanarci dalla portata delle granate. In continuo ci dicevano: avanti, andiamo avanti. Andando ‘’avanti’’ siamo finiti  a Belgrado. Quei giorni sono stati i più difficili della mia vita. Più passava il tempo  meno si ricevevano notizie di mio figlio. Negli abbiamo cercato, raccolto dati, sia per nostro figlio che per altri spariti. Negli incontri con altre famiglie si è creata la necessità di fondare una  associazione. Da allora molti sono aderenti. Una parte di loro ha trovato e sepolto i loro cari, mentre molte altre famiglie purtroppo non ci sono più. Sono morti e non hanno mai ritrovato i corpi dei loro figli.

Ha trovato salma di suo figlio?

-          Si. Dopo otto anni. Sono fortunate le famiglie che trovano i corpi dei loro familiari. Perchè fortunate? Perchè dopo l’identificazione e la consegna del corpo arriva la serenità. Il dolore rimane nel cuore ma non c'è più incertezza. Questo è un grande sollievo per noi. So che per il mondo fuori è difficile da capire quando diciamo sollievo. Ma per l’anima è un sollievo.
-          Per me sono stati otto lunghi anni di ricerche. C'è gente a cui sono stati uccisi tutti e due genitori, vittime civili, a Banija. I genitori di una collega sono stati uccisi sulla soglia della casa dopo la loro casa è stata bruciata. Come è noto, dai corpi bruciati è difficile identificare il DNA che potrebbe servire da confronto con campioni di sangue della famiglia. Queste sono storie difficili.

''Cerchiamo 1950 spariti''

Quanti casi degli spariti avete nella vostra data base?

-          Quasi duemila, più precisamente 1950. Sono spariti nel periodo di tutta la guerra, dal 1991 al 1995. Per quanto riguarda l’Operazione  Tempesta abbiamo 995 vittime registrate. Parlo di quelli che dopo la bonifica del terreno dopo l’Operazione, in presenza degli osservatori internazionali, sono stati sepolti dal nord della Dalmazia fino a Petrinja. La maggior parte dei corpi di queste tombe è essumata. Sono rimasti circa 330 corpi. Parlo di quelli evidenziati cioè del numero stabilito in base ai dati che ci sono  statipresentati dalla Croazia. La prima esumazione dei periti è stata nel 200, nel cimitero di Knin.

Nella ricerca riscontrate comprensione delle istituzioni croate?

-          Nella nostra collaborazione ci sono alti e bassi. Come Associazione ci siamo impegnati a pubblicare i nomi degli spariti nel nostro giornale. Questo ha dato particolare fastidio al presidente della Commissione per imprigionati e spariti, Ivan Grujić. Lui si è sempre fortemente arrabbiato  quando portavo questo giornale alle conferenze regionali, cosa che facevamo per scambiare dati con famiglie di altre etnie. Diceva che ciò non era realistico. I nomi pubblicati sono quelli dati dalle loro famiglie. Non sono dati falsi. Pubblichiamo i nomi per avere indizi, informazioni e per aggiornare il nostra database. Se qualcuno mi informa: la persona il cui nome è pubblicato non è sparita ma è sepolta in tale cimitero oppure è ancora viva, immediatamente faccio correzione dei nostri dati. Desideriamo avere dati realistici. Il nostro unico obbiettivo è trovare i corpi delle vittime indicate come sparite.

''I crimini in Tempesta sono stati commessi.
E il fatto.''
Vi incontrate con le famiglie delle vittime croate evidenziate come sparite e in quale spirito si svolgono questi incontri?

-          E da molto che abbiamo iniziato a incontrarci proprio per aiutare famiglie di tutte le associazioni. I nostri primi incontri sono stati nel 1997, non qui nel territorio della ex Yugoslavia, in Ungheria, a Budapest. Nel 1997. un incontro è stato organizzato a Zagabria. Devo dire che è stato molto difficile relazionare. Ci hanno portato a Mirogoj dove si trova un ossario con salme di 400 persone senza identità. Allora è successo che alcune rappresentanti delle associazioni croate non volevano salire in pulman in cui c'erano serbi. Non mi piace ricordare di questo, c'erano anche delle minaccie. Dovevano trovare un altro mezzo di trasporto. Questo dico solo per dare esempio su come difficili erano i primi incontri. Però, abbiamo continuato a incontrarci, col passar del tempo i problemi si sono ridotti, ma mai completamente. Non abbiamo ancora chiarito con se stessi se siamo pronti a collaborare sull'obiettivo comune, nonostante il fatto che realmente siamo tutti vittime di guerra.

Come avete vissuto le sentenze di assoluzione (liberazione) dei generali croati all'Aia?
Abbiamo vissuto quelli giorni come se fossero di nuovo uccisi i nostri cari. Li abbiamo vissuti come uccisione della verità. Ma non ne parlo di Markač e Gotovina. Non voglio parlare se loro avessero partecipato nei Crimini ed in quale misura. Quello che ci ha feriti è la negazione dei crimini creatasi nell’opinione pubblica croata dopo la sentenza. E dato di fatto che crimini sono stati commessi a Golubić, Grubori, Varivode ed in altri siti. Il presidente croato è venuto di persona all’inaugurazione del monumento dedicato alle vittime civili a Varivode. I crimini sono stati commessi. Io so il destino di mio figlio. So che è stato catturato e poi ucciso. Al modo molto precisò divido le vittime. Ritengo uccisi quelli che sono stati uccisi in battaglia come militari. Periti sono quelli la cui morte è causata dalle conseguenze di guerra, quelli che sono rimasti senza farmaci, il cui cuore non è resistito e simile. Bisogna fare suddivisione molto precisa. E normale che qualcuno sia ucciso in guerra. Catturare e poi uccidere, sgozzare un’anziana di 85 anni, nata nel 1910. – questi sono crimini.

‘’Sgozzare un’anziana di 85 anni – è il crimine!’’

Che cosa dice sull’onda dei nazionalismi presenti in Croazia e Serbia che abbiamo visto dopo la sentenza di assoluzione dei generali croati?
-          Abbiamo da sempre evitato cose estreme. Qualche volta dopo esequie andavamo in corteo. Andavamo anche davanti il ministero croato non per distruggere ma per consegnare elenco degli spariti. Ogni volta in queste situazioni si intromettevano le persone con dei messaggi estremi. Perciò abbiamo smesso di organizzare i cortei di protesta. Noi sventurati e la nostra sofferenza vogliono manipolare per i loro obiettivi politici. A quella gente dicevo: Perchè ci disturbate? Noi vogliamo emettere il messaggio diverso.
Vogliamo che la Croazia solleciti il processo di soluzione del destino degli spariti. Ci interessa solo questo, nient altro.


Desidera rientrare e vivere in Croazia?

-          Ogni anno trascorriamo un periodo di tempo in Croazia. Abbiamo sepolto figlio nella tomba di famiglia a Golubić ed ogni anno ci andiamo all’anniversario del funerale e al giorno di suo compleanno. D’inverno non ci sono condizioni. A casa non ci sono attacchi di corrente, acqua e noi siamo anzi ani. Altro motivo perchè non rientriamo per rimanerci è che io molto difficilmente sopporto provocazioni. Vado in macchina con targa di Belgrado, quest’estate per esempio, e uno si ferma, sputa verso macchina e gesticola. Passo, mi sforzo di non notare, ma ti arrivano tanti cenni che non sei benvenuto. Guardate cosa è successo Đevrske. I due – uno di 19 anni e altro di 30 – giravano e chiedevano se ci fossero dei cetniki.  Hanno chiesto dalla gente di mostrare le carte d’identità. Ciò non è male solo per i serbi ma anche per la Croazia. I minori incidenti li fanno i croati autochtoni. Generalmente lo fanno immigrati da Janjevo e dalla Bosnia. Voi signori al governo, cosa avete fatto per educare questa gioventù?
-          Questo incidente a Đevrske, uno aveva due anni, altro 13 quando è finita guerra. Come mai le persone che alla fine della guerra erano bambini ora creano incidenti del genere? Cosa fate voi per la società? Va bene, i serbi se ne sono andati e non ritorneranno, ma cosa fate voi per educare i giovani che crescono? Andiamo li e ci sediamo in terrazza dei vicini di casa e bambini nel cortile accanto raccolgono frutta e ci colpiscono. Cosa fate per educare bene questi bambini?
Queste sono le domande per la Croazia. Se vuole essere una società civile Croazia dovrà risolvere questo prima o dopo.

Come ha vissuto dichiarazione di Ante Gotovina che ha invitato tutti i serbi a ritornare ed ha detto che Croazia non sia più la sua patria che la patria dei serbi fuggiti?

-          Anche Tuđman ci ha invitati a rimanere dopo l'ordine che l'esercito debba infliggere i colpi da far praticamente sparire i serbi. Sappiamo bene cosa è successo a quelli che sono rimasti.
Crede ai politici croati quando vi invitano a rientrare?

-          Dietro parola vuota non c’è nulla.

Come serbi fuggiti oggi vedono Krajina come un progetto politico?

-          Ancora si possono trovare casi estremi ma penso che la maggioranza non sia convinta che Krajina possa essere un soggetto politico. Penso che non sia possibile.
Come vi hanno accolto a Belgrado? C’è stata parecchia intolleranza verso i profughi.

-          C’era. Io sono stato fortunato per differenza di molti altri, perchè dopo l’arrivo ho trovato lavoro a scuola, insegnavo materia tecnica (disegni tecnici). C’è stata intolleranza ma non diretta. I profughi dalla Bosnia sono stati accolti di tutto cuore, quelli che nel ’91 sono venuti dalle zone urbane. Dopo è stato molto, molto più difficile.

         Da ‘’Novi List”                                                              -                   
  Traduzione di Rajka V. per Krajina Notizie
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Guerra in Krajina. Cosa sapeva la CIA?

Ante Gotovina accusato di crimini di guerra. Ora la Croazia vuole che i suoi ex alleati dell’intelligence degli USA la aiutino a provare la sua innocenza
                           
   


    di Roy Gutman, NEWSWEEK INTERNATIONAL

27 agosto - In una base militare isolata sulla costa adriatica della Croazia un aereo senza pilota della CIA ha percorso la pista, poi lentamente ha scalato la cima degli alti pini ed è entrato nello spazio aereo nemico. Era il luglio del 1995 e un nuovo conflitto si stava preparando.

Il leader serbo Slobodan Milosevic aveva conquistato la zona di confine croata della Krajina con la Bosnia nel 1991 e ora la Croazia stava preparando un assalto lampo per riprendersela. Gli americani in uniforme militare che operavano da un rimorchio color crema vicino alla pista avevano inviato il drone GNAT-750 a fotografare le posizioni delle truppe e delle postazioni armate serbe.                               
Le immagini furono trasmesse alla base, analizzate e quindi passate al Pentagono. Secondo alti funzionari dell'intelligence croato, alcune copie furono inviate anche alla sede del generale croato al comando dell’"Operazione Tempesta".

Le missioni segrete di ricognizione continuarono per mesi fino a molto tempo dopo che le forze croate avevano spinto i serbi nella vicina Bosnia.  E secondo i croati l'informazione si rivelò vitale per il successo dell'Operazione Tempesta. I funzionari croati dicono che verso la fine della campagna di 72 ore, le foto dei droni mostrarono che le forze serbe si stavano ammassando per una controspinta. Il comandante croato dell'operazione, il generale Ante Gotovina, ammassò le sue truppe al punto di penetrazione delle linee serbe e mandò all’aria l'assalto. Ora l’operazione riuscita della CIA sta per diventare una prova di primaria importanza addotta dalla difesa in un caso di crimini di guerra al Tribunale dell'Aia.

Dopo l'incriminazione del generale Gotovina per le atrocità commesse durante e dopo l'Operazione Tempesta, compreso l'omicidio di 150 serbi della Krajina, lo spostamento forzato di ben altri 200.000 e l'incendio di migliaia di case. Gotovina, 45 anni, che un tempo militava nella Legione straniera francese, nega qualsiasi ruolo nelle atrocità, la maggior parte delle quali è avvenuta nei tre mesi dopo che l'operazione militare si era conclusa. Tuttavia, egli ha rifiutato di arrendersi al tribunale, lamentando che avrebbe dovuto passare anni in prigione in attesa di giudizio. L’avvocato di Chicago di Gotovina, Luka Misetic, sostiene che l'intelligence degli Stati Uniti sarà di vitale importanza per il suo caso. "…Egli era nella catena di comando, ma c'era in questa un altra serie di occhi e orecchie a guardare questa operazione…", dice Misetic. . "Nessuno lì [nella CIA] vide che c'era un problema di crimini di guerra o un crimine contro l'umanità… L'informazione che gli Stati Uniti possiedono è rilevante per stabilire l'innocenza del generale Gotovina…".

Croazia: cosa sapeva l’FBI?

Ora un'indagine di Newsweek ha dimostrato che la cooperazione di intelligence degli Stati Uniti con la Croazia è andata molto più in profondità di quanto Washington abbia mai ammesso. Secondo Miro Tudjman, figlio del defunto presidente Franjo Tudjman e capo della controparte croata della CIA a metà degli anni 1990, gli Stati Uniti hanno fornito l’attrezzatura per crittografare a ciascuna delle brigate regolari dell'esercito della Croazia. Dice che la CIA ha anche speso almeno10 milioni di dollari in postazioni di ascolto croate per intercettare le chiamate telefoniche in Bosnia e Serbia.Tutta la nostra intelligence [elettronica] in Croazia è andata in linea in tempo reale per la National Security Agency di Washington", dice Tudjman. "Abbiamo avuto una collaborazione de facto".

Un rapporto di collegamento

I funzionari americani a conoscenza delle questioni di intelligence confermano che la CIA ha gestito droni da una base nei pressi di Zara, sulla costa adriatica, durante e dopo l'Operazione Tempesta. Essi ammettono inoltre ciò che descrivono come "condivisione limitata" delle informazioni di intelligence con la Croazia. (Due ex alti funzionari dell'amministrazione, però, negano che tale condivisione sia mai stata approvata dalla Casa Bianca). E anche se i funzionari americani si rifiutano di parlare di dispositivi di crittografia, confermano che c'era un "rapporto di collegamento" con la Croazia e gli altri paesi della regione per raccogliere informazioni.

Inoltre insistono sul fatto che gli operatori americani non hanno fatto nulla che abbia contribuito ai crimini di guerra. Gli Stati Uniti "sapevano di un'operazione militare in fase di progettazione", spiega Pierre-Richard Prosper, ambasciatore straordinario per le questioni di crimini di guerra, gli Stati Uniti e aggiunge: “Non sapevamo nulla della pianificazione di attività criminali”. Un ex alto funzionario dell'amministrazione ha detto che la Casa Bianca aveva " la solita diffusione di informazioni sui singoli incidenti ", ma nessuna prova che "i croati si stavano dando molto da fare a terrorizzare la popolazione serba”. Ante Gotovina, il generale dell'esercito croato in pensione incriminato per le atrocità commesse nei Balcani, ritiene che le informazioni dell’intelligence degli Stati Uniti possono dimostrare la sua innocenza.

Le accuse contro Gotovina potrebbero essere difficili da provare. Il procuratore capo delle Nazioni Unite, Carla Del Ponte, afferma nel suo atto d'accusa che Gotovina ha la responsabilità personale e di comando per le atrocità commesse durante e dopo l'Operazione Tempesta. L'accusa sostiene in particolare che l '"effetto cumulativo" di azioni da parte dell'esercito croato "ha portato allo spostamento su larga scala" dei serbi….

 In Croazia, il caso Gotovina ha suscitato forti passioni. Cartelloni pubblicitari lungo la costa adriatica proclamano che Gotovina è un eroe, non un criminale…E gli ex capi dell'intelligence del paese hanno deciso di parlare dei loro legami con gli Stati Uniti in modo da garantire per l'innocenza di Gotovina. "Ho sempre detto che le uniche persone in Croazia che sanno tutto sono gli americani", dice Markica Rebic, l'ex capo dell'intelligence militare…

                                                                  (Traduzione di Patrizia M. per Krajina Notizie)


 Cos’è il Governo in esilio della Repubblica Serba di Krajina (RSK).

E un auto proclamato governo in esilio  della Repubblica Serba di Krajina.
Un  governo che era esistito per un breve periodo di tempo dopo l'Operazione Tempesta nella metà degli anni '90, poi ricostituito il 26 febbraio 2005, quando alcuni esponenti dell ‘ex Repubblica Serba di Krajina si sono riuniti a Belgrado alla Casa del Sindacato della città serba. Presenti una quarantina di vecchi membri  governativi della ex RSK (su 83), con l’ultimo Presidente della RSK che sta scontando una pena all'ICTY e diversi altri membri  fuoriusciti dal paese. Nel corso della riunione di Belgrado, i presenti hanno ufficialmente dichiarato di essere la continuazione legittima dell’ex governo RSK e hanno chiesto la ricreazione della RSK, sulla base del Piano Z-4 1994, dove si richiedeva che la Krajina avesse uno stato con " un poco più dell'autonomia, un poco meno dell'indipendenza" all’interno della  Croazia. Hanno annunciato che si sarebbero tenute elezioni parlamentari e che il nuovo nome del nuovo Stato sarebbe:  "Repubblica serba di Krajina-". L'incontro ha eletto Milorad Buha come primo ministro e sei ministri senza portafoglio i cui nomi non sono stati rivelati.                                                                                                                            
 L’obiettivo generale è quello di permettere ai serbi di ritornare sulle proprie terre oggi occupate, di difendere con mezzi politici e con colloqui gli interessi dei Serbi della Croazia, verso  il governo croato, l’Unione europea e le Nazioni Unite.

Da subito contro questa iniziativa si sono sollevate critiche ed attacchi da numerosi fronti, sia all’interno della Serbia dagli ambienti istituzionali e partitici che hanno messo in luce i rischi per il percorso di entrata nella UE della Serbia; dalla Croazia, Zagabria ha subito  inviato una nota di protesta per la nomina e la formazione del governo in esilio. Anche l’Unione Europea ha fortemente condannato questa iniziativa, con minacce e ricatti. 

Nel 2007, una mozione del Comitato dell'Unione europea per i Balcani ha richiesto la "dissoluzione" del governo ombra  RSK ; la sottocommissione parlamentare europea  ha dichiarato che il governo ombra non aveva "alcuna possibilita’ di stare su" e la sua attività poteva causare "danni irreparabili" alla parte serba che aspira ad andare nella UE.
Il "governo in esilio" della RSK ha tenuto la sua prima riunione in segreto in Serbia a Novi Sad. Il suo programma è stato annunciato in una conferenza stampa a Belgrado il 5 marzo, in cui M. Buha ha dichiarato che avrebbe sollecitato l'approvazione dell’ autonomia della Krajina serba, sulla base del piano Vance e del Piano Z-4. I delegati RSK hanno pubblicizzato un documento intitolato "Programma del Governo in esilio della RSK ", dove si afferma che "la condizione fondamentale per il successo del governo  sarà la creazione di un proficuo concorso e cooperazione tra i partiti politici nazionali,  le organizzazioni disponibili  in Serbia,  la Chiesa serba Ortodossa, come pure con i veri patrioti ".                                                                                                                          
Buha ha anche proposto una mozione nella Assemblea  Nazionale serba  dicendo che "la questione nazionale serba e la sopravvivenza dei serbi sul territorio della Repubblica serba di Krajina e della Croazia può essere risolta solo mettendo fine all’occupazione della RSK ".                                                                                            
Il governo ha anche inviato un appello al Papa, in esso hanno chiesto di aiutare il popolo serbo  per porre fine a quello che è definito il genocidio croato contro i serbi e di garantire la normalizzazione della situazione per i serbi del paese”.                                                                                                                                                       
L'Assemblea della RSK ha dichiarato che depositerà “  l'accusa contro la Croazia ai Tribunali Internazionali relativamente al genocidio e la pulizia etnica dei serbi in Croazia dal 1990 al 1995 ed il genocidio contro i serbi, zingari ed ebrei nella seconda guerra mondiale”.                                                                                                                                      
Il governo ha anche inviato una lettera all'Ambasciata turca a Belgrado, dove si esprimeva la speranza che il governo turco durante i suoi negoziaticon la UE, sottolineasse i fatti riguardanti il genocidio croato contro i serbi per far avanzare la loro causa e la causa del governo in esilio. evidenziando che i genocidi contro i serbi sono un "pesante fardello per gli altri paesi europei." Nel la lettera è detto che” in base ai principi europei tutti gli Stati europei sono obbligati a prendere posizione sui crimini che si commettono in Europa, e che solo allora potranno partecipare ad indagini di eventi simili in altri continenti (…cosa che fa l'Unione europea di frequente)”.  Il governo ha inoltre dichiarato: "E ' singolare che dibattono sulle prove circa i crimini turchi contro gli armeni nel 1915, mentre non parlano di genocidio e dei crimini croati nel campo della morte di Jasenovac  su cui vi sono documenti, dibattiti accademici, libri pubblicati da testimoni e anche una sezione dedicata a questo nel Museo dell'Olocausto a New York. "                                                                              
Nella lettera si dichiara anche che: “… se gli Stati membri della UEsi rifiutano di mettere in luce il genocidio contro i serbi, stanno ignorando la Carta delle Nazioni Unite sui diritti dell'uomo e altri documenti del Diritto Internazionale, che li obbligano a punire i criminali”. 

 Il governo in esilio ha anche chiesto alla Croazia di pagareil risarcimento per i danni di guerra al popolo serbo,  Buha ha sostenuto che il valore delle proprietà serbe in Croazia vale 30 miliardi di euro, e che questo dovrebbe essere pagato per i serbi che vivevano in Croazia come parte delle riparazioni di guerra.     Il governo ha aggiunto che chiedere il risarcimento di guerra per il popolo serbo è la stessa misura utilizzata dalla Croazia e Bosnia nei confronti della Serbia.  Buha ha anche affermato che circa le compensazioni relative al caso di danni di guerra,  è necessario che la comunità internazionale devono  costringere le autorità croate ad affrontare la questione, ribadendo che la Croazia ha aggirato questo obbligo finora, mediante metodi amministrativi, giudiziari e altri. Il governo RSK sarà anche un citante nella class action per recuperare il tesoro ustascia.
                                  
    A cura di E. Vigna per CIVG.IT INFORMA 36




Srebrenica

                                           Srebrenica 
  di Aldo Bernardini – Docente Ordinariodi Diritto Internazionale nell’Università di Teramo

1. Srebrenica, la Auschwitz degli anni ’90. L’Aja, la Norimberga attuale. Equiparazioni oggi correnti, sono fra i mantra dell’ideologia imperiale, i derivati del mostruoso sistema di “giustizia penale internazionale” che alquanto spensieratamente si pretende discenda dal Tribunale di Norimberga, al quale fu assegnato di giudicare i criminali del nazifascismo tedesco. Sulla base dell’accordo internazionale di Londra dell’8 agosto 1945 fra le quattro grandi Potenze (Unione Sovietica, USA, Gran Bretagna, Francia) che occuparono la Germania debellata nel secondo conflitto mondiale.
Srebrenica. Quale Srebrenica? La conclamata strage di (si dichiara) 8000 musulmani ad opera dei Serbi di Bosnia nel 1995 – la strage detta ma che secondo molti forse non ci fu, almeno nei termini della presentazione usuale -, o quella non detta, ma che ci fu, dei serbi perseguitati, trucidati, espulsi, soprattutto ma non solo nel 1995 intorno a Srebrenica e altrove, inclusa la Kraijna di Croazia? Su tutto ciò, Autori varii Il dossier nascosto del “genocidio” di Srebrenica, La Città del sole, Napoli 2007.
È davvero esistito il massacro (quello “ufficiale”) di Srebenica?
Oramai bisogna dubitare di tutto. Tante volte siamo stati ingannati:
Vi ricordate il famoso massacro di Timisoara attribuito a Ceaucescu ed alla sua crudele “Securitate”? Quanti di noi sanno oggi che i cadaveri fotografati erano quelli di persone decedute per cause naturali e “straziati” non dalle torture, ma dall’obduzione condotta dal personale medico dell’ospedale municipale?
Vi ricordate il “massacro di civili albanesi” consumato dall’esercito jugoslavo (serbo-montenegrino) in Kosovo? Quanti fra noi hanno saputo –a distanza di tempo- che i civili non erano tali, ma combattenti dell’UÇK caduti nel corso di uno scontro armato, e che il capo degli osservatori internazionali, cioè l’agente della CIA William Walker, ha ordinato di spogliarli delle divise e di rivestirli in abiti civili creando così l’occasione lungamente attesa per dichiarare guerra alla Jugoslavia? La verità è nota a chi si è dato la pena di leggere il rapporto della dottoressa finlandese che affermava aver trovato sulle dita di tutti i cadaveri (tranne in uno) tracce di polvere da sparo. Inutile dire che la “grande stampa indipendente” non ha ritenuto opportuno darne notizia.
E i campi di concentramento dei musulmani rinchiusi dai serbi dietro al filo spinato? La foto di un giovane denutrito e con le costole sporgenti guardava, da dietro al filo spinato, decine di milioni di lettori indignati di quanto stava apparentemente succedendo. In realtà il giovane non era “detenuto” ma era stato semplicemente ricoverato, assieme a decine di altri profughi di diverse etnie, in un campo di accoglienza organizzato dai Serbi. E il filo spinato? Molto semplice: il fotografo mercenario aveva attirato alcuni profughi del campo di raccolta all’interno del confine di una proprietà privata e li aveva poi fotografati posizionando l’obbiettivo al di là del recinto che delimitava la proprietà privata.
E l’11 settembre? Quale babbeo crede ancora in buona fede che sia stata Al Qaeda, almeno da sola, ad abbattere le torri a mezzo di due improbabili aerei? Sono ormai centinaia le domande senza risposta e decine le tracce che ad abbattere i grattacieli siano state delle cariche di esplosivo plastico piazzate scientemente nelle settimane precedenti in modo da provocare il crollo dei medesimi grattacieli. Sono a disposizione oramai numerosissimi libri che demoliscono la tesi ufficiale. Avete ancora dei dubbi? Ed allora cercate di spiegare come 2 aerei possano aver abbattuto 3 grattacieli!
Tralascio di parlare dell’Iraq e delle motivazioni che sono state date da Bush per la guerra di aggressione che ha portato la cifra delle vittime irachene a sfiorare il milione di unità, perché ormai anche il più sprovveduto fra noi ha capito di essere stato brutalmente ingannato. E da ultimo le fosse comuni di Tripoli e tutto il resto dell’infame aggressione alla Libia di Gheddafi?
Che pensare allora del massacro di Srebrenica?
Questo libro ci dimostra che un massacro c’è veramente stato, con una piccola differenza però rispetto alla tesi ufficiale: VITTIME DEL MASSACRO SONO STATI I SERBI. L’altro massacro, quello dei musulmani, presenta lati oscuri nonché l’indubbia utilità del tentativo di incastrare la componente serba e, attraverso una ricercata ricostruzione della catena di comando, ha avuto di mira il presidente jugoslavo Milosevic. Certo, anche questo va indagato. Ma la “giustizia penale internazionale” viene messa a nudo: l’altra Srebrenica, quella delle vittime serbe, risulta completamente ignorata.

2. Il sistema di “giustizia penale internazionale” con le attuali istanze giudiziarie, che si va costruendo per arbitraria volontà dei “forti” e colpevole acquiescenza ad ampio raggio sul piano mondiale, può solo nell’apparenza vantare la “nobile” (tale almeno nella grande sostanza) ascendenza di Norimberga. Ne è in realtà il totale rovesciamento, pur atteggiandosi a prosecuzione o reviviscenza: si tratta di “similNorimberga”.
Il Tribunale di Norimberga venne stabilito con l’accordo di Londra dell’ 8 agosto 1945 fra le quattro grandi potenze vincitrici del secondo conflitto mondiale (URSS, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia) per giudicare i crimini degli esponenti nazisti dopo la totale sconfitta della Germania. Dunque giustizia dei “vincitori”, e tale scopertamente: qui potrebbe ravvisarsi un primo tratto di   aggancio con le attuali situazioni. Infatti, al di là di episodi tutto sommato marginali, le attuali istanze operano di fatto, e lo vedremo meglio, come espressioni di “giustizia”, se non dei “vincitori”, dei “forti” sul piano mondiale: ovviamente, in modo sotterraneo, implicito e certo non dichiarato, ma ben reale. D’altra parte pure, in ciò e se si va al fondo delle cose, con una fondamentale distorsione rispetto a Norimberga, il cui significato andrà chiarito.
 Ci si riferisce, tralasciati il Tribunale per il Ruanda ed altre situazioni minori, al Tribunale ad hoc per la Jugoslavia, che è qui di primario interesse, e alla Corte penale internazionale, ambedue con sede all’Aja (e da distinguersi da altra istanza, che per i problemi qui trattati non ci riguarda, la Corte di giustizia internazionale, pure all’Aja, che giudica sui rapporti fra Stati in base ad accettazione della sua giurisdizione): istituiti, rispettivamente, con la ris. 827 del Consiglio di Sicurezza in data 25 maggio 1993 (per il Tribunale ad hoc)  e con la Convenzione di Roma del 17 luglio 1998 (per la Corte penale internazionale). Quale l’aggancio con il passato?
Campo di azione per Norimberga: le categorie di crimini catalogate, nell’accordo istitutivo,  come crimini contro la pace (non solo l’aggressione, ma tutte le macchinazioni poste in essere con l’esito della guerra), crimini contro l’umanità (fattispecie delittuose di oggettiva gravità e con dimensioni di massa, a partire dal genocidio), crimini di guerra (quelli tradizionali previsti dal diritto bellico). Di qui un’evoluzione che portò all’ampliamento della tradizionale categoria dei “crimini individuali di diritto internazionale”: esempio classico, fin dal passato, la pirateria. Legittimato da un’antica norma internazionale, qualunque Stato può esercitare la propria giurisdizione penale sul pirata anche fuori dagli usuali criteri legati alla sua sovranità (cittadinanza dell’autore o della vittima del crimine; commissione del crimine sul proprio territorio) e pertanto in base a un criterio di universalità di giurisdizione penale. Ebbene, per i crimini delle categorie di Norimberga si è tentato da taluni Stati occidentali di applicare in proprio tale criterio, con in più un elemento assai pesante, in superficiale apparenza desunto da Norimberga: nel caso di fatti compiuti in veste ufficiale da individui-organi di uno Stato, sui quali l’unica giurisdizione penale è stata tradizionalmente solo quella del proprio Stato, quei fatti, in forza di asserite nuove norme internazionali, si è cominciato a considerarli come non attribuibili solo allo Stato dell’individuo-organo, ma anche direttamente a questo individuo (rispetto a ciò erano esistite in precedenza solo marginali eccezioni nel diritto bellico). Quindi qualunque Stato, che avesse adottato per quei crimini il criterio di universalità, avrebbe potuto e potrebbe legittimamente, secondo tale ben dubbia concezione, giudicare un individuo-organo di un altro Stato, deprivato dell’immunità prima risultante, per diritto internazionale, dall’esclusiva attribuzione del fatto criminoso al proprio Stato (unico titolare questo, com’è ovvio, di giurisdizione penale sull’individuo-organo proprio). Si ricordi il caso Pinochet. Ma abbiamo assistito a un fenomeno apparentemente sorprendente: quando è sorto il pericolo di colpire, invece che esponenti considerati ostili del c.d. Terzo Mondo, determinati personaggi “amici” o comunque appartenenti al campo dei “forti”, ad esempio l’israeliano Sharon da parte del Belgio, gli Stati, così “generosi” nell’adottare il criterio dell’universalità ai fini, come veniva strombettato, di una giustizia… universale, hanno, con rapida “opportunità”, fatto marcia indietro e dunque modificato la pertinente normativa per tenere in salvo siffatti personaggi.
Dopo questa zoppicante “evoluzione”, il passaggio all’attuale “giustizia penale internazionale” con le istanze giudiziarie non statali come quelle sopra nominate.
Lasciamo per ora il profilo sostanziale della giustizia dei “vincitori” o dei “forti”. Gli elementi in senso più specificamente giuridico che paiono far affondare in Norimberga le radici dell’attuale “giustizia penale internazionale” li possiamo così sintetizzare. Si tratta di giustizia penale, quindi su individui (come ogni giustizia penale) ma stabilita da norme internazionali, sottratta o sottraibile  ai sistemi giudiziari degli Stati, e quindi alla sovranità statale, con la quale la giustizia penale sarebbe di per sé connaturata, per venire affidata a “organi”giudicanti non statali. Naturalmente, per categorie di fatti criminosi definite da norme internazionali: oggi, a partire da quelle, poco fa ricordate, di Norimberga, ma con una sottrazione di peso, che offrirà spazio a considerazioni di forte rilievo. Risalirebbe ancora a Norimberga, ma in quanto sancita espressamente dalle pertinenti norme internazionali istitutive, l’esclusione, davanti alle attuali istanze, dell’immunità degli individui-organi con l’accollo ad essi di responsabilità individuale anche per fatti compiuti in veste ufficiale. 
Nonostante l’adozione di siffatti caratteri, l’attuale “giustizia penale internazionale” è però una contraffazione di Norimberga. Come detto, vi è un elemento di particolare visibilità che porterebbe ad accomunare: giustizia dei vincitori contro i vinti. Ma, a ben vedere, si deve oggi prendere atto della vistosa distorsione già evocata: dovrebbe parlarsi, a differenza di Norimberga, e lo si è anticipato, dei “forti”, solo potenziali o indiretti vincitori, ai danni di nemici prematuramente segnati come vinti, pur scattando l’operazione penale internazionale (anzitutto, l’incriminazione) a conflitto tuttora in corso. Ciò che, anzitutto, conferisce alle attuali operazioni di “giustizia penale internazionale” il marchio della strumentalità: al di là di una apparente formale equiparazione dei confliggenti, in realtà a sostanziale vantaggio di una parte del conflitto in atto, come copertura dell’attività di tale parte, e dei suoi sostenitori e mandanti sul piano mondiale, e strumento di (ricercata) delegittimazione e disgregazione della dirigenza dell’altra parte, quindi della stessa relativa compagine statale. È quanto meglio mostreremo più avanti.
Certamente il Tribunale di Norimberga e le sue decisioni posero problemi giuridici estremamente delicati (appunto, l’unilateralità, in quanto organo operante solo nei riguardi dei vinti; problematico rapporto con i principii generali di civiltà giuridica in campo penale, quale nullum crimen e nulla poena sine lege, e dunque retroattività dei criteri assunti come base delle condanne…). Ma la portata immane e catastrofica, di carattere per così dire sistemico sul piano mondiale, dell’azione complessiva della coalizione dell’Asse nazifascista (a fronte, è pur vero, di numerose azioni della coalizione contrapposta, o meglio di una parte di essa, di estrema gravità sul piano dello ius in bello, ma tutto sommato in quanto episodi non connessi in un disegno criminale totale: Dresda, Hiroshima e Nagasaki…), può illuminare sulle ragioni storiche profonde a sostanziale spiegazione della base giuridica di Norimberga: rispetto, per contrapposto, alle attuali esibizioni della “giustizia penale internazionale”, sinora sempre connotate da assoluta trascuranza, predisposta sul piano normativo, dei reali contesti e quindi della reale consistenza delle attività criminose, vere o asserite, prese in esame e delle connesse responsabilità globali.
Non vi è dubbio che la previsione, per Norimberga, dei crimini contro la pace ha costituito il “cappello” idoneo a circoscrivere la sfera d’azione del Tribunale: si tratta dei comportamenti che, nel contesto storico reale, non sarebbe stato possibile ascrivere altro che alle potenze dell’Asse, quindi per Norimberga alla Germania nazista: e ciò avrebbe avuto necessariamente riflesso sulle altre due categorie di crimini sotto il profilo soggettivo della sfera degli incriminabili. Il tutto però fondato su un dato inequivocabile: punto di partenza, i comportamenti e le attività aggressive, indubbiamente senza pari, dell’Asse. Il “taglio” della categoria per le odierne istanze dell’Aja porta invece per quanto in modo subdolo, si è accennato e vi torneremo, a gravi conseguenze specifiche.
 Il processo di Norimberga può sembrare aver costituito elemento di rottura dello schema tradizionale del sistema internazionale nel settore in esame e di propulsione per gli sviluppi successivi. Sì e no, per verità. Un organo giudiziario stabilito sulla base di un accordo internazionale, senza la partecipazione dello Stato, i cui individui-organi vengono sottoposti al potere di quel Tribunale, appare prima facie, secondo il discorso delineato, scardinare la struttura basilare del sistema giuridico internazionale: con radicale obliterazione della sovranità statale, eliminazione delle immunità internazionali degli individui-organi, sovraimposizione di un apparato giurisdizionale di immediata origine internazionale. È in prima linea su questa rappresentazione, lo si è ribadito, che viene giocata una pretesa ascendenza di Norimberga rispetto all’attuale “giustizia penale internazionale”.
La profonda realtà giuridica, e non solo giuridica, della situazione delineata rivela tutt’altra configurazione. Pur previsto da un accordo internazionale, necessario come disciplina dei rapporti fra le quattro grandi potenze occupanti, il Tribunale di Norimberga ha operato in realtà come organo interno del sistema giuridico della Germania occupata, nella quale l’apparato statale era crollato e il potere sovrano era congiuntamente esercitato dalle quattro potenze. Quindi, nessuna sostituzione di organi statali tedeschi o sovraimposizione ad essi, ormai inesistenti, e pieno potere, invece, di quell’organo giudiziario in realtà interno di esercitare giurisdizione penale anche sugli  individui-organi dell’estinto Reich  nelle attività compiute pure in veste ufficiale. Si trattò infatti, in quella fase storica, di null’altro che della giurisdizione interna propria su quegli individui. Una situazione analoga, come giudice interno, fu quella del Tribunale militare di Tokio per il Giappone occupato nel 1945, per il quale non fu necessario neppure un accordo internazionale, l’occupazione essendo solo quella degli Stati Uniti.
Senza dubbio restano riscontrabili alcune anomalie sostanziali. Furono introdotte figure criminose prima inesistenti, come i crimini contro la pace o anche quelli contro l’umanità; lo stigma di “giustizia dei vincitori” resta visibile, in quanto analoga “giustizia” non venne esercitata, negli ordinamenti degli Stati vincitori, verso i loro cittadini autori di crimini eventualmente rientranti nelle categorie di Norimberga. Qui fu decisiva la previsione della categoria dei crimini contro la pace. Una previsione che senza dubbio dette  un fondamento anche politico-morale alla scelta di perseguire gli esponenti dell’Asse (e solo essi). Si perseguirono innanzi tutto le politiche, macchinazioni, operazioni che sfociarono nelle aggressioni scatenate dal Terzo Reich. Lo si è rilevato: ma le istanze attuali ignorano le aggressioni e le politiche belliciste e gli attori di esse.

3. Il problema se fosse possibile istituire un tribunale del tipo di quello di Norimberga nel quadro del sistema delle Nazioni Unite se lo pose uno dei massimi giuristi del ‘900, Hans Kelsen, e la risposta fu negativa. Kelsen, in forza della concezione generale da lui seguita, non si interrogò   sulla natura internazionale o meno dell’organo giurisdizionale penale istituito in Germania nel 1945. Si chiese soltanto se un simile organo potesse venir stabilito in forza di una decisione in sede Nazioni Unite (il pensiero va all’istituzione del Tribunale ad hoc per la ex-Jugoslavia). E lo negò. Così argomentando: la Carta NU non contempla responsabilità (internazionale) di individui, in specie individui-organi, per violazioni di norme e principii internazionali (come il divieto di uso della forza), ma solo degli Stati. Situazione superabile solo, secondo Kelsen, con una modifica della Carta a termini statutari (aggiungo: con probabili problemi costituzionali per gli Stati membri).
Nel 1993, nel corso dei conflitti intrajugoslavi innescati anche per (senz’altro decisiva) responsabilità dei paesi occidentali, venne istituito - lo si è anticipato - un Tribunale penale internazionale ad hoc, quello denominato per la ex-Jugoslavia (già allora detta ex, pur se prematuramente): con decisione del C.d.s. delle NU (la ris. 827 del 25 maggio 1993, preceduta da una preparatoria ris. 808 del 22 febbraio 1993). Un organo giudiziario destinato ad esercitare giurisdizione penale su individui, in specie individui-organi,essenzialmente di uno Stato e comunque di entità di tipo statale (la Jugoslavia socialista federale, poi quella residua, e le Repubbliche secessioniste), dotati di propri poteri sovrani o assimilabili, ma senza loro partecipazione, per imposizione esterna da parte di un “organo internazionale” come il C.d.s.: da ritenersi fondamentalmente e insanabilmente incompetente all’uopo.
Siamo in presenza di una giurisdizione penale sganciata da una situazione di sovranità: le NU, di cui il C.d.s. e il Tribunale per la ex-Jugoslavia sono organi, non sono ente sovrano (non sono una federazione). E non hanno potere su individui, i destinatari o soggetti passivi della giurisdizione penale. Anche se negli ultimi tempi il C.d.s. si va prodigando in misure e sanzioni relative ad individui. Sia chiaro: non può legittimamente farlo neanche imponendo agli Stati i relativi obblighi (che è poi l’unica pratica possibilità, le NU non essendo dotate di strumenti di esecuzione loro propri). Vi è comunque la sovraimposizione dell’organo (Tribunale ad hoc) sulla sovranità di uno Stato e/o di entità di tipo statale in essere nello spazio della (ex) Jugoslavia socialista: con la sottrazione di “incriminati” alla giurisdizione penale di queste e con la sottoposizione di loro individui-organi a quel Tribunale. Dunque, anche con la cancellazione dell’eventuale immunità internazionale. Perché quel Tribunale non si innesta, e non lo ha potuto, come invece era accaduto con il Tribunale di Norimberga per la Germania, in un sistema giuridico interno, e cioè quello o quelli delle entità ex-jugoslave (senz’altro di quella, la principale, che non aveva accettato in alcun modo il Tribunale ad hoc: la Jugoslavia federale residua –Serbia e Montenegro). L’abnormità sta dunque nel fatto che si è operato simulando, per così dire, una situazione di occupazione territoriale, che invece non vi è stata. Il Tribunale ad hoc ha quindi agito, ed agisce, non solo come copertura politica e di immagine delle operazioni politiche e militari che hanno portato alla distruzione della Jugoslavia socialista, ma addirittura ha collaborato a tale distruzione con la mirata disintegrazione di compagini statali attraverso le incriminazioni individuali anzitutto dei vertici.
La risoluzione istitutiva è illegittima perché stabilisce un organo giudiziario (su individui, per di più), quando il C.d.s. non è dotato di un tale potere giudiziario. Se in quest’ottica si ponesse l’accento sul carattere di organo sussidiario da ascriversi al Tribunale ad hoc, secondo l’art. 29 della Carta, un siffatto potere giudiziario dovrebbe rinvenirsi nel C.d.s. istitutore, e appunto tale potere su individui nel C.d.s. non esiste. Sotto altro punto di vista, istituire un organo giurisdizionale presuppone un potere normativo generale, diciamo di tipo legislativo, che il C.d.s. non possiede, essendo esso fornito solo, per così dire, di un potere di ordinanza rispetto a situazioni di emergenza nei rapporti internazionali fra Stati. Quel potere generale non rientra certo nell’ambito del potere di adottare misure senza uso della forza per situazioni concrete, espresso dall’art. 41 Carta (nel quale, precisiamo per chiarire, viene per lo più ricercata la base giuridica dell’operazione compiuta dal C.d.s. con l’istituzione del Tribunale ad hoc). Oltretutto, questa norma indica, certo in modo non tassativo ma senz’altro significativo, tipi di misure senza uso della forza: si tratta di misure consistenti in rotture o interruzioni di rapporti fra Stati, e comunque sempre di misure da prendersi dagli Stati, e certo l’istituzione di un tribunale penale operata dal C.d.s. non presenta siffatte caratteristiche. E non pare compatibile con l’intrinseco carattere contingente delle misure ex art. 41 Carta.

4. Richiamato che la vantata ascendenza di Norimberga rispetto al Tribunale ad hoc non è sussistente se non per tratti minori ed estrinseci, va comunque denunciato l’elemento più grave di deviazione dalla pur invocata tradizione: l’eliminazione, dal novero delle categorie di crimini previste dallo Statuto del Tribunale ad hoc, di quella dei crimini contro la pace, includente l’aggressione.
La mancata previsione di questa categoria avrebbe potuto favorire senza dubbio, in linea astratta, l’equiparazione formale delle parti in conflitto – e addirittura dei sostenitori esterni – con riguardo alle categorie di crimini previste, quelli di guerra e contro l’umanità. Tale esclusione (dei crimini contro la pace) è avvenuta per evitare il “rischio” di coinvolgere in prima linea gli esponenti delle potenze che hanno operato per favorire la disgregazione della Jugoslavia. Si è così raggiunta l’eliminazione, dal campo di competenza assegnato (si ripete, comunque in un contesto arbitrario) al Tribunale ad hoc, dei comportamenti degli Stati, e dei loro individui-organi, che hanno (quantomeno) contribuito allo sfascio della Jugoslavia socialista. Almeno astrattamente, i comportamenti di contrasto all’autodifesa dello Stato esistente, culminati nei riconoscimenti prematuri delle Repubbliche secessioniste, vi sarebbero rientrati, in quanto azioni concertate e mirate contro la sovranità della Federazione jugoslava socialista.
Si è in tal modo evitata la possibilità, sia pur –visto il contesto- solo teorica, che venisse sotto i riflettori tutto il retroscena della vicenda jugoslava: ne è dunque derivata la concentrazione esclusiva sulle azioni di combattimento, sui conflitti armati e le loro durezze, gli eventuali crimini connessi, il tutto sradicato in tale logica dal terreno internazionale (se non fittiziamente raffigurato, come stiamo per vedere), dalle operazioni e macchinazioni e rappresentazioni ideologiche che hanno condizionato e, per così dire e in ampia misura, fornito una conformazione rappresentativa a quei conflitti armati.
Mi spiego e svolgo. È stato fondamentalmente distorto, nell’applicazione alla situazione jugoslava, il principio di autodeterminazione dei popoli in quanto principio normativo internazionale vigente: questo infatti non tutela qualunque parte di popolazione di uno Stato che intenda staccarsi, ma solo quelle parti, territorialmente compatte, che soffrono di una discriminazione fondamentale, di tipo coloniale o assimilabile, e la tutela si concreta essenzialmente nell’attenuazione, per i terzi Stati, dell’obbligo di non ingerenza nei fatti interni e quindi nel poter legittimamente fornire appoggio al movimento di autonomia o indipendenza. Fuori di quel presupposto si ha un’insurrezione, di fronte alla quale i terzi Stati non possono lecitamente intervenire. La situazione delle Repubbliche jugoslave secessioniste era con evidenza questa. La macchinazione degli Stati occidentali, in un momento storico in cui non hanno incontrato sul piano mondiale contesti ad ampio raggio di opposizione, si è incentrata sull’imposizione (ideologica) di una rappresentazione in termini di autodeterminazione a favore delle spinte e lotte secessionistiche: così da raffigurare come aggressione il comportamento della Federazione che legittimamente le contrastava.
D’altro canto, va considerato che la configurazione giuridica che si è presentata vale a fronte di Stati costituiti (come era la Federazione socialista jugoslava). Ma in un processo fattuale di graduale dissolvimento di questa e di formazione di nuove entità, non ancora Stati costituiti, centrate sulle Repubbliche federate secessioniste, non può negarsi, a favore di parti di popolazione territorialmente compatte sino ad allora integrate in una data realtà amministrativa (una Repubblica federata secessionista), un principio di autodeterminazione in senso autonomo rispetto a quello sinora illustrato: e cioè come autocostituzione di una subregione in entità indipendente o come sua permanenza nella vecchia compagine dello Stato costituito. L’imposizione da parte degli Stati occidentali di un principio (che nel diritto vigente è limitato a determinati ambiti geografici sulla scena mondiale e non è generalmente applicabile) uti possidetis iuris (come imposizione della permanenza delle frontiere, in sé meramente amministrative nel quadro della precedente Federazione, delle Repubbliche federate secessioniste) è stata contraria all’autodeterminazione-autocostituzione di subregioni che non volevano essere coinvolte nella secessione della Repubblica federata in cui sino a quel momento erano state amministrativamente conglobate. Si pensa in particolare alla Kraijna e alla Slavonia orientale di etnia serba nel quadro della Croazia federata e alla Repubblica serba di Bosnia nel quadro della Bosnia-Erzegovina federata. L’intervento di Stati terzi per (aiutare a) reprimere quei movimenti di autodeterminazione (nel senso particolare da ultimo indicato) appare illecito e, in quanto intervento armato, criminale. Alle persone più attente non sarà sfuggita la flagrante contraddizione fra l’imperativa pretesa del campo imperialista di voler difendere il diritto dei popoli a vivere in regioni omogeneamente occupate dalla stessa etnia, liberandole dal “giogo jugoslavo” da un lato, mentre dall’altro, nei casi suindicati, si volle imporre ai serbi, con la violenza delle armi, la rinuncia a quello stesso diritto.
Conseguenza di questa duplice mistificazione ideologica: i conflitti secessionisti si sono fatti apparire come di autodeterminazione e quindi “internazionalizzati” e così resi (artificialmente e illegittimamente) suscettibili di sostegno esterno: il legittimo contrasto dello Stato federale è divenuto guerra di aggressione contro l’autodeterminazione. La lotta delle subregioni antisecessioniste si è fatta passare per ribellione contro Stati costituiti e quindi legittimamente reprimibile, addirittura pure con sostegno esterno (anche contro il vero o supposto, per altro in sé legittimo, sostegno dello Stato federale in funzione antisecessionista). Questa problematica, e le mistificazioni che ne sono state espressione, sono rimaste sullo sfondo, proprio perché escluse dall’ambito di competenza assegnato al Tribunale ad hoc. Ma certamente hanno esercitato in modo sotterraneo un influsso nefasto sulle vicende processuali e le scelte dei “giudici”: la criminalizzazione, e in esito la condanna, sono state pronte e senza esitazioni a danno del campo delle forze antisecessioniste, nelle due ipotesi che si sono delineate; ben più rarefatte e meno numerose nel caso opposto. Si tratta del discrimine di fatto che si è tracciato implicitamente tra i Serbi, da un lato, i Croati e i Musulmani, da un altro, e ancor più coloro che, dall’esterno, hanno affiancato questi ultimi. Così da rendere inevitabilmente “orientato” il Tribunale ad hoc. Inevitabile (!) l’ “archiviazione” delle denunce contro la NATO per i bombardamenti sulla Jugoslavia (2 giugno 2000). La condanna di un esponente croato, il gen. Gotovina, appare nel contesto complessivo operazione di copertura.
Non mi trattengo su questi aspetti, le relative statistiche e le loro implicazioni, e cioè sulle modalità dello svolgimento dei processi, prima ancora sulle incriminazioni (al massimo livello, solo il presidente Milosevic, serbo e jugoslavo; intoccati il musulmano-bosniaco Izebetgovic e il croato Tudjman), infine sulle sentenze.
Il presidente Milosevic ha avuto l’atto di incriminazione poco dopo l’inizio dei bombardamenti, cioè l’aggressione, della NATO contro la Jugoslavia (residua) nel marzo 1999. Nella logica assunta dal Tribunale ad hoc, che appunto vede escluso dal suo campo di azione il crimine più grave, e comunque scatenante, e cioè l’aggressione o le macchinazioni che hanno favorito le guerre civili, quell’incriminazione (sia pure anche per asseriti fatti pregressi) colpisce come criminale l’individuo-organo di vertice e vale dunque quale copertura dell’aggressione NATO: reazione, questa, come viene fatta apparire ed in tale logica, alle attività criminose attribuite – in base ad incredibili teoremi giuridici - allo Stato jugoslavo e al suo presidente da ultimo per il Kosovo (in realtà, legittimo contrasto dello Stato jugoslavo costituito nei confronti di un’insurrezione locale, come in precedenza contro le secessioni).
Va da sé che si è voluto anche inferire un colpo alla compagine statale jugoslava. Mi astengo dal richiamare la vicenda scandalosa del vero e proprio rapimento e sequestro di Milosevic a Belgrado nel 2001 per tradurlo nel carcere di Scheveningen e quelle dell’annoso processo, in cui Milosevic ha opposto un comportamento eroico e ha lasciato la vita (per morte naturale, come affermano i suoi aguzzini, per assenza di cure adeguate, come affermano alcuni, o per avvelenamento, come pensano altri).
 Citiamo a questo punto per incidens le incriminazioni, da parte questa volta della Corte penale internazionale dell’Aja, a carico del presidente sudanese al-Bashir e del leader libico Gheddafi, assassinato poi dalla NATO e complici: quest’ultimo, come Milosevic, appena scatenata l’aggressione aerea. Pur se questa Corte presenta una base di legittimità formale di maggior consistenza, la Convenzione di Roma del 1998, benché di fronte a probabili problemi di costituzionalità per gli Stati parti o almeno per diversi fra essi, risulta se non altro una situazione aberrante, che consente un’assimilazione al Tribunale ad hoc: l’art. 13 b, per il quale il C.d.s. può deferire alla Corte anche individui-organi di Stati non parti dello Statuto della Corte medesima (come nei due casi da ultimo citati). Si configura, con atto estraneo alla Carta NU, un potere del C.d.s. non previsto: pur se evidentemente tale esito può apparire in ultima analisi un’escrescenza del potere arrogatosi dal C.d.s. stesso con l’istituzione di tribunali penali internazionali. Se l’attribuzione di potere giurisdizionale penale al di fuori di una struttura sovrana è fenomeno singolare, per non dire abnorme, cui può – entro molte cautele - sopperire una base convenzionale (quasi ad istituzione di un organo comune degli Stati parti), la pretesa soggezione ad una tale Corte, su indicazione del C.d.s., di Stati non parti dello Statuto della Corte medesima e di loro individui-organi, con lo scalzamento delle relative immunità internazionali, ripropone lo schema di una simulata occupazione, appunto realmente non sussistente, con l’attribuzione di potere giurisdizionale penale a organo – almeno nei confronti di Stati non parti - non sovrano (neppure nel senso di una sorta di delega all’organo “internazionale” stabilita dalla convenzione istitutiva).
Va fatto presente che lo Statuto della Corte, almeno nella fase attuale, esclude anch’esso i crimini contro la pace, a partire dall’aggressione, dal proprio campo di applicazione. Il malo esempio del Tribunale ad hoc riproduce così a livello più generale i suoi effetti maligni ai danni dell’indipendenza e sovranità degli Stati.
Si noti, a completamento delle anomalie, che per giurisprudenza internazionale attuale (della Corte internazionale dell’Aja) gli organi statali godono pur sempre delle immunità internazionali, almeno finché in funzione. Principio patentemente violato dalle incriminazioni lanciate, a conflitto iniziato, dal Tribunale ad hoc e dalla Corte penale internazionale.
Ad un sistema del genere, a una siffatta “giustizia penale internazionale”, troviamo affidato il caso Srebrenica. Quello “ufficiale”. Dell’altro, documentato in questo volume, non vi è traccia.
Di fronte all’inerzia delle istanze di “giustizia penale internazionale”, che abbiamo preso in considerazione, riguardo a denunce pur lanciate contro esponenti occidentali per aggressioni e crimini di guerra in Jugoslavia, Iraq, Afghanistan, Palestina, oggi Libia, non si riesce ad evitare una valutazione di assoluta parzialità, di mirata selettività, di strumentalità delle operazioni giudiziarie poste in essere da quelle istanze. Di fronte alle quali ci si può dunque domandare: al suono di quale piffero queste istanze danzano?
Norimberga fu certo unilaterale, ma su base morale, politica e giuridica inoppugnabile. Si procedé a partire da incontrovertibili crimini di aggressione e contro la pace. Tutto ciò non può dirsi per le incriminazioni e i processi del Tribunale ad hoc per la ex-Jugoslavia e della Corte penale internazionale. Ne sono prova irrefutabile le “archiviazioni” di denunce contro Blair, Sharon, Clinton e loro sodali e, per il Tribunale ad hoc, contro la NATO.
A mani ben poco affidabili risulta assegnata la “questione Srebrenica”. La documentazione presentata in questo crudo e coraggioso volume dovrebbe portare a rivedere molte opinioni e meglio mistificazioni circolanti e fatte circolare nell’opinione pubblica mondiale, per lo meno in quella occidentale. Ma non sappiamo se questo auspicio, questa speranza di vera giustizia potrà trovare accoglienza contro il pensiero unico dominante.


Aldo Bernardini

Roma, 25 gennaio 2012


Dalla introduzione al libro: “ Srebrenica. Come sono andate veramente le cose”
                                                                                            – Zambon editore


Alla vigilia della data fissata per la stampa del libro siamo entrati in possesso, attraverso una serie di fortuite circostanze, di un documento segreto redatto nel luglio 1995 dal comando militare bosniaco-musulmano di Srebrenica e indirizzato al comando supremo di Sarajevo che contiene esplosive rivelazioni su quanto è davvero successo nell’enclave di Srebrenica. Da notare che il documento venne redatto a circa 6 settimane di distanza dal preteso massacro di 8000 civili inermi.

Dal documento si evince che:
1)    la zona di Srebrenica non è mai stata smilitarizzata (tesi sin qui sostenuta dalla propaganda occidentale) ma al contrario è stata punto di partenza di azioni punitive, anzi di veri e propri massacri consumati ai danni della popolazione serba dei villaggi circostanti, e questo sotto la protezione delle truppe dell’ONU;
2)    nei dintorni di Srebrenica ebbero luogo scontri accaniti fra le forze armate delle contrapposte fazioni;
3)    le truppe dell’ONU e della NATO agirono sempre ed esclusivamente come parte belligerante in appoggio della fazione bosniaco-musulmana;
4)    Srebrenica non fu conquistata cambattendo dai serbi, ma fu evacuata, dopo alcune trascurabili scaramucce, prima che le truppe del generale Mladic entrassero in città, praticamente senza combattere;
5)    fra le truppe musulmane che si stavano ritirando verso Tuzla, e le formazioni serbe che cercavano di impedire il ripiegamento, si svilupparono accaniti combattimenti che provocarono la morte di migliaia di combattenti di entrambe le parti.

Il documento conferma dunque per filo e per segno le tesi sostenute dagli autori del presente libro.

Leggere per credere.
  
FORZE ARMATE DELLA REPUBBLICA DI BOSNIA-HERZEGOVINA
COMANDO DEL 2° CORPO D’ARMATA
SEZIONE SICUREZZA MILITARE E DIFESA DELLA REPUBBLICA
 ASSOLUTAMENTE RISERVATO
 MINISTERO DELL’INTERNO         SERVIZIO DI SICUREZZA NAZIONALE
TUZLA SDB/ Servizio di Sicurezza nazionale / SETTORE
Numero:___ /95                     Tuzla, 28 agosto 1995

 La caduta di Srebrenica
 AL COMANDO MILITARE DELL’ARMATA DI BOSNIA HERZEGOVINA
SARAJEVO                   REPARTO SICUREZZA

Dall’esame della nostra attività operativa in relazione all’OI Guber siamo giunti alle seguenti conclusioni in merito alla caduta della zona di sicurezza di Srebrenica e dalla sua conquista da parte dei Cetnici (*)
            Nel luglio 1995 il grado di sicurezza a Srebrenica è gravemente peggiorato. I >Cetnici hanno preso l’abitudine, ad ogni cambio di guardia delle unità UNPROFOR, di avanzare in profondità nella zona protetta. All’arrivo di ogni nuova unità UNPROFOR essa dimostrava di accettare la nuova situazione di fatto, senza il minimo interesse per la situazione precedente. Anche con l’occasione dell’ultimo avvicendamento si poté osservare come, già durante i preparativi di partenza del contingente olandese, i Cetnici si concentravano ai confini della zona di sicurezza.
            I Cetnici pretesero che l’UNPROFOR ritirasse i posti d’osservazione dalla zona di sicurezza. Il comandante del battaglione olandese informò Ramiz Bećirović, comandante supplente del 28° corpo d’armata, di aver respinto tale pretesa e di aver chiesto l’assistenza della NATO. Quando i Cetnici aggredirono i posti di controllo dell’UNPROFOR a Jadar, le unità dell’ UNPROFOR si ritirarono di 400-500 metri ed il loro comandante informò Ramiz Bećirović di aver ricevuto dai sui superiori l’ordine di ritirarsi da ogni posto d’osservazione. Successivamente comunicò gli sviluppi della situazione al proprio governo che gli ordinò invece di non ritirarsi.
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Segue una dettagliata descrizione delle scaramucce, e dei veri e propri scontri…fra i due schieramenti contrapposti.
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Nel corso di questi scontri i Cetnici fecero prigionieri, in diverse occasioni, alcuni militari olandesi e li trasportarono nelle loro retrovie assieme al loro equipaggiamento. Due dei loro APC furono bersagliati dalle granate dei Cetnici nel settore di Bojna, ed un altro nei pressi di Dodilovac senza che l’UNPROFOR reagisse in alcun modo. I soldati del battaglione olandese restarono assolutamente passivi. Alcune delle loro pattuglie si erano arrese ai Cetnici, ma la maggioranza continuò ad occupare il presidio di Potočari..
Approssimativamente alle ore 15 dell’11 luglio, l’intera popolazione della città, come anche quella dei villaggi circostanti, s’incamminò in direzione di Potočari., dov’era ubicato il presidio principale dell’UNPROFOR. Verso le ore 20, ventimila profughi si erano raccolti all’interno e all’esterno del presidio UNPROFOR di Potočari. occupando strade, fossati e 2 fabbriche quasi completamente distrutte. I Cetnici erano appostati a soli 300 metri di distanza Fino a questo momento nessun soldato olandese si era occupato di loro. Alle ore 21,15 Nesib Mandžić fu invitato attraverso il megafono a presentarsi al comando del battaglione olandese, dove gli fu comunicato che 30 soldati e ufficiali olandesi erano stati fatti prigionieri e che il generale cetnico Mladić aveva minacciato di passarli per le armi qualora anche un solo aereo della NATO si fosse profilato all’orizzonte e che in tal caso avrebbe anche impartito l’ordine di sparare sui profughi e di distruggere il presidio UNPROFOR di Potočari. Sebbene Nesib Mandžić non avesse titolo a rappresentare i civili, si recò alle 22,15 a Bratunac per trattare con i Cetnici in compagnia del comandante olandese e dell’ufficiale di collegamento. I Cetnici erano rappresentati dal generale Mladić, dal presidente dell’amministrazione serba di Bratunac Ljubisav Simić, dal presidente dell’organizzazione terroristica SDS (Partito Democratico Serbo), da Miroslav Deronjić e da molti altri. Abbiamo proposto ai Cetnici di dare via libera all’evacuazione dei civili verso i territori liberati, sotto la protezione dell’UNPROFOR.
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Segue una descrizione delle trattative.
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Il comando di divisione si trovava nella capanna di caccia nella città vecchia. L’ultimo giorno, l’11 luglio, era impossibile avvicinarsi all’edificio perché esso era sottoposto al fuoco ininterrotto dei Cetnici. Quando infine un carro armato comparve nei paraggi, gli occupanti dell’edificio lo abbandonarono senza che nessuno avesse dato l’ordine di distruggerlo o di incendiarlo. È dunque probabile che l’intera documentazione del comando di divisione sia caduta in mano nemica.
Verso le ore 14 il comandante della 28.a divisione, una volta abbandonato il campo dell’UNPROFOR, fu informato del fatto che l’aviazione della NATO aveva iniziato a colpire le postazioni serbe nei dintorni di Srebrenica.
In quel momento nessun membro dell’amministrazione, nessun radioamatore, nessun soldato, nessun impiegato postale si trovava, com’era invece abitudine, nell’ufficio postale; tutti si erano avviati verso il villaggio Kutlić.
            Piccoli gruppi di soldati si appostarono sulle posizioni difensive di Srebrenica. Il comandante di divisione Šemso Salihović ed il suo ufficiale di collegamento Midhat Salihović, che tenevano la posizione nei pressi di Bojna assieme ad un gruppo di circa 20 soldati, dovettero però ritirarsi. Si ritirarono sulla collina che offriva loro un ampio campo visivo, sia sull’ufficio postale, che sulle posizioni nemiche, i cui eventuali attacchi di fanteria potevano quindi venir facilmente rintuzzati.
Quando infine l’attacco a Srebrenica ebbe inizio, la popolazione civile era già stata trasferita nel campo UNPROFOR di Vezionica in Srebrenica, per poi venir successivamente trasportata via camion o con altri mezzi nel campo di Potočari.
 La permanenza in Potočari.
Le trattative con i Cetnici
Le vittime civili
Nomi dei comandanti etc.: 280.- Maggiore Ibrahim Mandžić (figlio di Idriz); 281.- Maggiore Zulfo Turnusocić (figlio di Salko); 282.- Maggiore Ibro Ducić (figlio di Husein); 283.-Capitano Hazim Džanović (figlio di Behaija); 284.- Maggiore Veiz Šabić (figlio di Velija); Battaglione Autonomo Alpini di Srebrenica – Ejub Golić (figlio di Atif)
            Il sindaco della città si trasferì temporaneamente nel borgo di Borković, e con lui il servizi o postale e quello di comunicazioni via radio (amatoriale).
            Il comandante della 281.a brigata, Zulfo Tursumović [sic] informò il sindaco e il (facente veci del)comandante che il fronte era stato difeso con successo, mentre la 283.a brigata era stata costretta a ritirarsi da Bučje, che questo settore del fronte era ora tenuto dalla 281.a brigata, ed infine che il comandante dell’IDV (ricognizione e sabotaggio) Aka Pupo Nalić era caduto nei pressi del villaggio di Bučje durante un attacco dei Cernici, attacco che era però stato respinto.
             Successivamente, dopo che la popolazione di Sućeska era stata evacuata, i comandanti insieme ad un gran numero di soldato della 281.a brigata, iniziarono a ritirarsi verso il villaggio di Šušnjari. Il comandante della 282.a brigata Ibro Dudić era già sul luogo, insieme ai comandanti della 280.a e 284.a brigata, ed al responsabile del SJB ( servizi di sicurezza). La riunione ebbe luogo nell’abitazione di Sidik Mustafić. A tale riunione parteciparono anche il sindaco, il responsabile amministrativo del comune, il delegato del comandante della 28.a divisione dell’esercito, il comandante della 283.a brigata, ed infine un membro del battaglione alpino dal nome Kezo. In questa occasione, nella notte fra l’11 e il 12 luglio, fu presa la decisione di tentare di aprirsi combattendo un varco verso Tuzla.
Segue a questo punto una dettagliata descrizione degli scontro fra le colonne di soldati musulmani in ritirata e le forze armate serbe che tentavano di intercettarli e li impegnavano di continuo in scaramucce e scontri sanguinosi, con gravi perdite per entrambe le parti.


                                              DA CIVG.IT  INFORMA 36