Trascrizione della relazione del Dott. Stefano Fugazzi (“Sostituire il TTIP con il Protezionismo Progressista”) al convegno “ERF e TTIP” tenutosi alla LSE sabato 22 novembre
Intanto buon pomeriggio a tutti.
Ringrazio il Professor Antonio Maria Rinaldi e l’amico Luca Boscolo per l’invito. È un piacere per me tornare qui alla LSE dopo il successo del convegno “Oltre l’euro per una nuova Europa” tenutosi proprio presso questa prestigiosa università lo scorso 25 gennaio. Per chi non mi conoscesse di già, sono un professionista della City che a titolo personale e soprattutto nel proprio tempo libero da diversi anni, ormai, descrive, analizza e ricerca la crisi attualmente in corso. Sono l’autore di due saggi, Idee per l’Italia pubblicato nel 2013 e ABC Italia (Abbiamo Bisogno di Crescita) uscito questa estate e la cui prefazione è stata curata dal qui presente Antonio Maria Rinaldi. In passato ho anche collaborato con i portali Investire Oggi e Italoeuropeo, e un anno fa mi sono – tra virgolette – messo in proprio creando il portale di analisi e ricerca ABC Economics.
Detto ciò, passiamo subito all’ordine del giorno.
Come i relatori che mi hanno preceduto hanno già avuto modo di evidenziare, siamo ormai tutti al corrente che con il “Transatlantic Trade and Investment Partnership” (TTIP) si verrà a creare un “mercatone unico” in grado di ridisegnare gli assetti commerciali planetari, mettendo così alle strette – e quindi deprimendo ulteriormente – l’inventiva, la creatività e soprattutto le particolarità locali di quel 99% di aziende attive sul territorio europeo, cioè le Piccole e Medie Imprese, le PMI.
So che il tempo concessomi quest’oggi è limitato. Vorrei tuttavia far fruttare questi minuti esponendo a grandi linee una proposta elaborata da Colin Hines, un attivista inglese appartenente al gruppo dei Verdi, e autore di una interessante ricerca pubblicato nel 2012 intitolata “Progressive Protectionism” (Protezionismo progressista – Colin Hines) nella quale viene articolato un nuovo paradigma economico alternativo al neoliberismo, cioè quello che è altresì noto con il nome di Protezionismo Progressista.
Sul mio portale di analisi e ricerca ABC Economics troverete il testo integrale della traduzione in italiano, realizzata dal qui presente Nicola Spanu, di un dettagliato, e credo illuminante, articolo di Colin Hines che conservo nei miei archivi da due anni e che ho ritenuto opportuno sottoporre quest’oggi alla vostra attenzione. In questa sede mi limito a riassumere molto brevemente i capisaldi, appunto, del Protezionismo Progressista.
Vediamoli assieme.
Iniziamo con l’evidenziare che il lavoro di Hines non intende affatto riproporre il protezionismo degli anni ’30, dove l’obiettivo era spesso quello di incrementare la forza economica di una nazione limitando le importazioni e poi sperare di competere globalmente alle spese degli altri paesi.
L’obiettivo del protezionismo progressista è in realtà quello di incoraggiare i paesi a ricostruire e diversificare le rispettive economie limitando quali prodotti importare e quali attività finanziarie far entrare o uscire dal paese.
Certamente, una simile mutazione del paradigma economico non potrebbe essere introdotta in un solo paese, dal momento che i mercati finanziari ci metterebbero davvero molto poco a debellare le piccole anomalie sistemiche. L’Europa potrebbe tuttavia essere un blocco con una massa critica sufficiente per permettere l’attuazione di quanto viene proposto da Colin Hines.
Il protezionismo progressista richiederà pertanto l’introduzione da parte degli Stati-nazione di un insieme di priorità normative che prevedano di:
1 – Rigettare il credo neoliberista dei mercati sempre più aperti ed il principio della competitività internazionale e sostituirli con la reintroduzione di salvaguardie protettive come tariffe e quote.
2 - Introdurre una norma del tipo “sei basato qui, produci qui”.
3 - Localizzare la finanza, al fine di fare in modo che gran parte di essa rimanga nel suo luogo di origine.
4 - Una volta protette le economie domestiche con quote e tariffe doganali, si renderà necessario implementare una norma che favorisca la competizione locale eliminando eventuali monopoli.
5 - Introdurre tasse più eque e socialmente utili, nonché imposte sullo sfruttamento delle risorse naturali.
6 – Incrementare la partecipazione democratica sia politicamente sia economicamente al fine di assicurare il graduale passaggio ad economie locali più diversificate. Ed, infine,
7 - Ri-orientare gli obiettivi degli aiuti internazionali e la regolamentazione degli scambi commerciali, così da facilitare la ricostruzione delle economie locali su presupposti più sostenibili.
Troverete maggiori dettagli sulla della ricerca di Colin Hines sul mio portale abceconomics.com. Prima di concludere, ecco, vorrei sfatare due tra i “luogocomunismi” più ricorrenti sulle proposte neo-protezioniste.
Vediamo il primo.
Non vi è forse il rischio di tornare alla carne in scatola dei tempi del comunismo e a una società pre-industriale?
Secondo quanto riporta Hines, il protezionismo progressista non ha niente a che fare con la restrizione degli scambi di informazioni, di tecnologie e di quant’altro. L’obiettivo primario di questo nuovo paradigma economico è invece quello di premiare e quindi mettere al primo posto la produzione locale.
Certamente, con l’introduzione del protezionismo progressista i prodotti saranno più costosi se si utilizzerà manodopera britannica o italiana anziché quella cinese o vietnamita. Ma questo nuovo paradigma economico comporterà la creazione di nuovi posti di lavoro in loco, maggiori entrate fiscali per i governi locali e soprattutto un maggiore controllo nazionale sulle economie globali (e non viceversa!).
E infine cerchiamo di spiegare perché questo nuovo paradigma economico, in realtà, non danneggi affatto i paesi in via di sviluppo che “hanno bisogno di esportare per combattere la povertà“.
Il protezionismo progressista è, infatti, un programma “internazionalista” per il fatto che offre il potenziale per migliori condizioni di vita per la maggioranza della popolazione del mondo, dando la possibilità, anche ai paesi in via di sviluppo, di evitare di essere “cannibalizzati” dalle grandi corporazioni e quindi permettendo anche alle élites locali di articolare politiche economiche sostenibili a beneficio dei propri cittadini e delle imprese nazionali, creando così i presupposti per fronteggiare ed attutire le crisi future e quindi gli shock asimmetrici.
Grazie a tutti per l’attenzione e come vi ho già fatto presente vi rimando al mio portale ABC Economics per maggiori informazioni circa il lavoro di Colin Hines sul protezionismo progressista.
Stefano Fugazzi *
Follow the link to download “Progressive Protectionism” by Colin Hines - Progressive-Protectionism-Thinkpiece-72
* STEFANO FUGAZZI – Professionista della City, fondatore di ABC Economics ed autore dei saggio “Idee per l’Italia” (2013) e “A.B.C. Italia – Abbiamo Bisogno di Crescita” (2014)