L’ESECUZIONE – di Libero Tronocozzo
Era passata ormai più di una settimana da
quando li avevano fotografati l’ultima volta, dopo aver messo nelle loro mani
la copia di un quotidiano locale, ed a questo punto né lui né Parker, anche se
avevano fino ad allora evitato di parlarne, si facevano troppe illusioni sulla
loro sorte. Erano da poco meno di un mese nelle mani dei ribelli ed a quanto
pareva – dato il troppo tempo trascorso - le trattative per il loro
rilascio non erano andate a buon fine; perché
questo fosse accaduto non avrebbe saputo dirlo con certezza: eccessivamente
alto il prezzo del riscatto richiesto? Rifiuto del loro governo a trattare con
dei terroristi? Scarso impegno da parte dei negoziatori, tutto sommato contenti
che i colloqui si arenassero, mostrando al mondo intero l’inutilità del dialogo
con questi fanatici? Scrollò le spalle, rinunciando all’analisi della
situazione, che rivestiva, ormai, un’importanza del tutto relativa, e bevve un
lungo sorso dal recipiente di terracotta, contenente un’acqua melmosa, prima di
porgerlo a Parker; il suo compagno bevve a sua volta, gemendo come sempre
quando era costretto ad un pur minimo movimento.
Pensò allora di dare un’occhiata alla ferita;
s’inginocchiò accanto a Parker, che giaceva sul pavimento di terra con la
schiena poggiata contro una parete della piccola baracca dove erano rinchiusi,
e gli fece cenno di denudarsi la gamba; Parker obbedì, digrignando i denti e continuando
a fissare il nulla davanti a sé, con la fronte imperlata da grosse gocce di
sudore che con cadenza irregolare raggiungevano la punta del naso e di lì si
tuffavano nel vuoto, per contribuire ad ampliare un’umida macchia scura sulla
ruvida camicia militare. “E’ finita, vero, capo?” gli chiese senza guardarlo e
subito si rispose da solo, aggiungendo con un aspro sorriso: “Siamo arrivati al
termine del viaggio”. “Non è detto, non è detto” disse lui ostentando sicurezza
ed iniziando a disfare la fasciatura. “Ancora non è detto. Può ancora succedere
di tutto; ho visto altre situazioni che sembravano senza uscita e poi si sono
risolte” dichiarò, continuando con attenzione a rimuovere le bende intrise di
sangue rappreso e rendendosi amaramente conto che lui stesso, per primo, non riponeva
eccessiva fiducia nelle proprie affermazioni.
Parker - che lui considerava quasi come un
figlio per la differenza di età, la condivisione di numerose azioni e le molteplici
occasioni in cui aveva fornito al ragazzo il sostegno della propria matura
esperienza - era stato ferito quando, già catturati e disarmati, dopo essersi
scambiati furtivi cenni d’intesa, avevano tentato una fuga impossibile approfittando
di un momento di presunta disattenzione dei loro rapitori; la fitta e rabbiosa
sequenza di colpi sparati verso di loro aveva subito reso evidente l’assurda
inadeguatezza del loro disperato proposito: lui era rimasto miracolosamente illeso
appiattendosi istantaneamente sul terreno, ma Parker era stato colpito alla gamba; Brown era invece
morto sul colpo senza un grido, crivellato dai proiettili; il corpulento Allen con
un rantolo prolungato era lentamente crollato al suolo dove, sdraiato su un
fianco, era rimasto immobile ad osservare incredulo la macchia rossa che si
allargava sulla sua camicia, all’altezza dell’addome; immediatamente raggiunti
e circondati erano stati selvaggiamente percossi e – loro due soltanto - ricondotti
alla base; il morto era stato lasciato dov’era caduto ed a fargli compagnia
avevano lasciato anche Allen, le cui condizioni apparivano disperate; mentre si
allontanavano, brutalmente sospinti dai loro aguzzini, lo udirono singhiozzare
ed invocare pietà; nonostante la palese disapprovazione degli uomini che lo
scortavano, i quali a motivo di ciò presero a picchiarlo con maggiore
accanimento, si era fermato e voltato a guardare per un’ultima volta Allen, che
con sforzi sovrumani strisciava lentamente verso di loro, piagnucolando ed offrendo
tutti i suoi beni terreni a chi non lo avesse abbandonato, condannandolo a
morire per dissanguamento; schiacciato dalla tragica consapevolezza di non poterlo
soccorrere in alcun modo, aveva ripreso la marcia augurandosi che le sofferenze
del suo commilitone finissero in fretta. Sebbene fosse amareggiato per la sua imminente
ed atroce morte, non riusciva a perdonargli la debolezza dimostrata di fronte
al nemico; un soldato, secondo lui, aveva l’obbligo morale di mantenere in ogni
circostanza un contegno decoroso; implorare misericordia costituiva, oltre che
un’azione sciocca e vana – essendo ben nota la totale assenza di umanità di
quegli assassini – una mancanza di carattere a suo giudizio inammissibile per
un combattente; al punto di aver lui stesso provato vergogna per il
comportamento indecoroso di cui era stato testimone e che, probabilmente, aveva
smisuratamente alimentato negli stessi nemici - convinti che essi fossero solo dei
mercenari, attratti dal denaro ma privi di ideali - il disprezzo nei loro confronti;
no, Allen non era affatto morto come si conviene ad un vero soldato.
Alla fioca luce di una sporca e debole
lampadina che pendeva dal soffitto esaminò con attenzione la ferita di Parker;
anche se superficiale, non essendo stata curata a dovere per l’assenza di
medicinali adatti, questa presentava un’estesa infezione, interessata dalla presenza di abbondante
secrezione purulenta; la cute intorno alla ferita appariva di un’intensa colorazione
nerastra, la qual cosa non lasciava presagire nulla di buono; l’ulteriore
mancanza di medicazioni adeguate e di igiene avrebbero potuto causare in tempi
estremamente rapidi – se ne rendeva perfettamente conto - complicazioni
imprevedibili.
Si alzò e si avvicinò alla porta, cominciando
a tempestarla di pugni, mentre Parker lo osservava con tangibile indifferenza;
dopo qualche secondo si udirono dei rumori dall’altra parte, poi fu fatto
scorrere il chiavistello ed attraverso lo spiraglio della porta socchiusa
apparve un gigante barbuto, ricoperto da un caffetano verde sbiadito e con un
mitra a tracolla. “Ho bisogno di disinfettante” disse sillabando le parole nella
speranza di essere capito. “Alcool. Disinfettante e garze pulite. Devo pulire
la ferita” aggiunse, accennando con un movimento del capo in direzione di Parker;
poi ebbe un’ispirazione improvvisa: cavò dall’interno di una scarpa il suo
orologio, che fino a quel momento era sfuggito alle numerose perquisizioni, e
lo consegnò al carceriere raccomandandogli: “Portami dell’alcool”. Il gigante non
manifestò in alcun modo di aver compreso la richiesta, e si limitò ad intascare
il prezioso oggetto, a scuotere il capo con un sorriso soddisfatto ed a richiudere la porta. “Luridi animali!
Bastardi schifosi! Trogloditi!” inveì allora serrando i pugni e cominciando a
camminare avanti e indietro nell’angusto spazio a disposizione, come gli
accadeva spesso di fare per dare sfogo alla propria rabbia impotente. Lo
sguardo di Parker lo seguiva con un’espressione che si sarebbe detta divertita,
se l’inconsueta fissità non avesse denunciato la presenza di un intimo ed
insopprimibile terrore.
Qualche tempo dopo si udirono varie voci
provenienti dall’esterno e qualcuno si mise ad armeggiare intorno alla porta,
che venne completamente spalancata consentendo l’irruzione dell’abbagliante
luce diurna che ferì gli occhi dei prigionieri, assuefatti da molto tempo alla
semioscurità dell’interno. Due individui in tuta mimetica entrarono, lo
afferrarono per le braccia e lo trascinarono all’esterno – lasciandogli appena
il tempo di gridare a Parker di stare tranquillo e che sarebbe andato tutto
bene -, costringendolo a camminare su un impervio percorso in salita, verso un
agglomerato di basse costruzioni in legno dov’era, supponeva, il loro quartier
generale. Si arrestarono in un piazzale gremito di uomini armati, dove i due
che lo scortavano lo lasciarono libero ma, a titolo precauzionale, gli posero
un guinzaglio di corda intorno al collo, trascinandolo in tali condizioni alla presenza di un
individuo seduto in terra, il cui corpo magro ed ossuto era avvolto da una
candida tunica ornata di elaborati ricami dorati; le guance incavate, la lunga
barba scura attraversata da fili argentei, gli occhi nerissimi ed ispirati gli
conferivano un aspetto ascetico che contrastava vivamente col bazooka che
teneva poggiato sulle ginocchia. Gli si rivolse in un inglese stentato: “Il
vostro governo, amico mio, non sembra interessato alla vostra sorte: vi ha
abbandonato al vostro destino, amico mio. Noi però ti offriamo una possibilità
di salvezza. Sarai libero se denunci le manovre messe in atto dagli
imperialisti contro il nostro popolo; dovrai condannare la rapina delle nostre risorse,
le false motivazioni usate per aggredirci, i crimini compiuti dai vostri mercenari”.
Fece una pausa, poi continuò, con un lampo di crudele arroganza nello sguardo:
“A conclusione di tutto, per dimostrare di essere sinceramente pentito, dovrai eseguire
la nostra sentenza: tagliare la gola del tuo compagno, giudicato colpevole per
i misfatti commessi contro la nostra gente.” Gli chiese infine con sardonica
cortesia se avesse capito tutto perfettamente e prese ad osservarlo, cercando
di intuire l’impressione prodotta dalle sue parole ed attendendo con
impassibile calma la sua risposta. Si accorse che molti dei presenti stavano registrando
il colloquio con telefonini e telecamere e si concentrò per preparare quello
che, con tutta probabilità, era destinato a divenire l’ultimo discorso della
sua vita e che sarebbe stato udito e visto da milioni di persone; doveva
mostrarsi all’altezza della situazione, far vedere a tutti quei selvaggi come
sapeva morire un cittadino del mondo libero: anche sua moglie ed i suoi ragazzi
lo avrebbero visto e voleva sopra ogni cosa che fossero orgogliosi di lui.
Ripensò per un attimo con nostalgia alla sua bella casa in riva al lago, a sua
moglie ancora giovane e piacente, alle rare serate passate con i figli davanti
alla televisione a vedere la partita o narrando loro delle sue missioni in giro
per il mondo, con l’innocente aggiunta, a volte, di qualche esagerazione che
rendesse più avventuroso il racconto; si sentì sopraffatto dalla commozione e
decise di scacciare quei ricordi, per dedicarsi interamente all’accurata scelta
delle parole che stava per pronunciare.
“Noi siamo soldati, non siamo assassini.”
esordì con voce ferma e forte volgendo intorno uno spavaldo sguardo di sfida. “Ho
capito perfettamente cosa volete da me, ma uccidere un uomo inerme, per giunta
un amico, è l’ultima cosa che intendo fare; perché, lo ripeto, noi non siamo
assassini…” Si fermò ammutolito per l’improvvisa visione: la ragazza con l’abito
giallo e gli occhi verde smeraldo era passata velocemente dietro due miliziani
in prima fila, proprio davanti a lui, scomparendo subito tra la folla; ma
quella frazione di secondo era stata sufficiente perché lui la riconoscesse con
assoluta certezza: era proprio la stessa ragazza che, insieme ad un suo
commilitone, aveva prima stuprato e poi ucciso durante il rastrellamento in un
villaggio, quasi un anno prima… Com’era possibile che fosse qui, ora? Si rese
conto che tutti si aspettavano che continuasse e riprese a parlare: “Noi portiamo
la pace, la giustizia…” Ma cosa diavolo ci faceva, a pochi passi da lui, con le
braccia conserte, la testa imbrattata di sangue ed un’espressione severa sul
volto, quel vecchio che qualche tempo fa era uscito di corsa dal suo tugurio in
fiamme con le mani alzate e che lui aveva centrato in fronte con un colpo
magistrale, guadagnandosi la meritata fama di miglior tiratore della compagnia?
Si passò una mano sul volto sudato e cercò ancora una volta di riprendere il filo
del discorso interrotto, ma la sua attenzione fu stavolta assorbita interamente
dalla vista di un ragazzetto esile, accovacciato tra le gambe di un gruppo di miliziani
alla sua destra; lo si notava subito perché si passava ripetutamente, con una
frenesia rabbiosa, uno straccio sulla faccia bagnata, senza peraltro ottenere
risultati apprezzabili: dal suo volto continuava a colare infatti ininterrottamente
del liquido giallognolo, come poté verificare lui stesso quando, osservandolo
con particolare accuratezza, capì di colpo chi fosse: si trattava del più
giovane membro di una famiglia, sterminata durante un bombardamento, sui
cadaveri della quale aveva orinato, diversi mesi prima, posando per una foto
ricordo di gruppo, tra la spensierata e chiassosa ilarità di tutto il suo
reparto. Distolse lo sguardo e s’impose di continuare, rendendosi conto con
fastidio che le sue frasi smozzicate potevano indurre tutti a sospettare che
fosse in preda ad una incontrollabile paura: “Noi rappresentiamo la civiltà ed
il progresso, voi la barbarie…” ma non riusciva a sgombrare i suoi pensieri
dalle persistenti immagini della ragazza, del vecchio, del giovinetto, che pareva
possedessero la fantastica facoltà di impedirgli di concludere sensatamente i
suoi ragionamenti, bloccando sulle sue labbra le frasi che si accingeva a
proferire e confondendo fatalmente, nella sua mente, i concetti che aveva
intenzione di esprimere; si rammaricò immensamente per questo suo inaspettato insuccesso,
avendo la chiara consapevolezza che questo intervento costituiva il suo ultimo
atto pubblico sulla scena del mondo, e fu costretto a terminare frettolosamente,
con gli occhi rivolti al suolo ed un tono di voce così sommesso da poter essere
udito soltanto da coloro che gli stavano accanto, quasi parlando a se stesso:
“La guerra è questo, è una sporca faccenda… Voi non siete migliori di me…”; la
frase si estinse in un mormorio incomprensibile e non riuscì ad aggiungere
altro, chiudendosi in un assorto mutismo
mentre grosse lacrime di rassegnata disperazione gli sgorgavano irrefrenabili e
copiose dagli occhi arrossati, precipitando tra i peli della barba incolta. Ad
un cenno dell’individuo con la tunica bianca, che lo aveva ascoltato
attentamente sfoggiando un sorriso beffardo, fu costretto ad inginocchiarsi nella
sabbia, mentre qualcuno, dopo averlo liberato del cappio che gli serrava la
gola, si curava diligentemente di legargli le mani dietro la schiena.
Essendosi sparsa con notevole velocità la
notizia della sua imminente esecuzione, dalla moltitudine radunata sul
piazzale, bramosa di godere del macabro spettacolo, si levarono in
un’assordante confusione urla, spari, invettive. Abbracciò con lo sguardo tutta
quella massa ululante che lo circondava di odio, imponendosi di conservare fino
alla fine un atteggiamento sereno e dignitoso. Fu pertanto con autentico
sgomento che vide la folla aprirsi inaspettatamente e, nel corridoio che si era
così formato, avanzare verso di lui Parker: camminava zoppicando vistosamente e
strascicando goffamente la gamba ferita, ma con risoluta determinazione; il
coltello dalla larga lama che stringeva saldamente nella mano destra rifletteva
a tratti, con bagliori rossastri, il sole che tramontava alle sue spalle.