lunedì 29 aprile 2013

RIFLESSIONI AMUSO DURO DI MARINO VALENTINI

1)
Quello dei suicidi è un problema che mi ha toccato personalmente avendo avuto ben tre amici che si sono suicidati negli ultimi tre anni e pensando a loro ho fatto un notevole sforzo per non farmi vincere dalla commozione. Questo comunque è stato il mio intervento sulla pagina Facebook degli organizzatori della manifestazione, postato il giorno prima: 
Sempre più gente parla di suicidio come di un delitto di Stato (e io non lo escludo affatto). Se così fosse, nessuno in questi ultimi anni si è mai tolto volontariamente la vita. Tutti questi suicidi costituiscono una condanna a morte, della cui esecuzione il giudice (Stato) incarica lo stesso condannato, in modo da togliersi qualsiasi senso di colpa morale e giudiziario. In Italia se non cambia qualcosa (in meglio) per i cittadini, continueranno ad esserci 60 milioni di condannati a morte.
Lo stato, attraverso la magistratura, archivia questi casi come atti di autolesionismo determinati da problemi mentali. In tal caso non ci sarebbe nesso di causalità con elementi esteriori al suicida ma rileverebbero solo problemi personali, connessi con la propria malata psiche. Ecco perché in Italia, pur esistendo il delitto di istigazione al suicidio, non c'è un giudice che abbia il coraggio di rilevare in un caso concreto l’art. 580 del codice penale. A mia memoria personale, non ricordo casi in cui il reato previsto da tale articolo sia stato rilevato in qualche condanna emessa da un tribunale italiano.
Ormai c’è gente che è terrorizzata dal solo ascolto del trillo del telefono, perché teme che all’altro capo della cornetta c’è il direttore di banca o la finanziaria che lo stanno sfiancando moralmente e fisicamente, a volte anche con vere e proprie “minacce”, mascherate da avvertimenti di probabili nefaste conseguenze per il debitore.
Questo stillicidio quotidiano sfocia in un senso di frustrazione del cittadino, in quella preoccupazione con la quale lo stesso è ormai a convivere ogni attimo della sua “non vita” e tutto questo porta inizialmente alla depressione poi alla disperazione e spesso alla disperazione può seguire anche il suicidio.
Come può escludersi che il reiterato comportamento di natura persecutoria di terzi (spesso accompagnato anche da un sadico accanimento) non abbia creato quei presupposti tali da rafforzare l'altrui proposito suicida? Come può escludersi che sia assente tale nesso di causalità? Lo Stato di fronte ad una tale emergenza, che in Italia è ormai divenuta di natura umanitaria, nulla sta facendo per arginare un fenomeno che è in continua recrudescenza. Il legislatore tace, minimizza, colpevolmente ignora, mentre attorno a noi la gente muore per rinuncia alla vita e lo Stato, con la sua assenza, ne è pienamente responsabile. Io voglio augurarmi che si prendano seri e drastici provvedimenti per arginare questo fenomeno, soprattutto a livello legislativo, impedendo cioè a terzi di essere causa dell'altrui suicidio e spero anche che qualche magistrato prenda veramente il coraggio e si assuma la responsabilità di rilevare ciò che è diventato fin troppo evidente. 


2)
Le banche, per rientrare nelle proprie spettanze creditizie, di solito scrivono raccomandate ai clienti morosi (a volte anche telegrammi), anche per interrompere eventuali termini di prescrizione e fin qui è tutto nella normalità, ma poi entrano in ballo autentici criminali che hanno voglia di mettersi in mostra agli occhi della loro direzione centrale e prendono iniziative volte al recupero crediti in modi alquanto bislacchi. Si va dal direttore che telefona ininterrottamente dal lunedì al venerdì fiaccando le resistenze dello sventurato moroso e spesso se vede che questo non risponde, telefona con l'identificativo sconosciuto o con un numeo diverso dal solito. Non è assoluta crudeltà di questi mafiosi in giacca e cravatta, piuttosto loro ritengono che il debitore comunque qualcosa l'abbia ancora e si fanno sentire per evitare che il cliente quel poco che gli è rimasto lo usi per saldare altri debiti o solo per campare se' stesso e la famiglia. Lo stesso avviene anche per le finanziarie ma di peggio accade quando le banche affidano il rientro dei propri crediti a società apposite che si occupano solo di recuperare. Il guadagno di questi recuperatori deriva dall'effettivo soma recuperata ai debitori e spesso sono persone senza scrupoli (anche avvocati) che non disdegnano di recarsi direttamente a domicilio o a far sentire la propria presenza fisica alle calcagna degli sventurati debitori. Ci sono poi quegli squallidi personaggi che si sono creati una rete di amici-collaboratori tra fidati bancari, allo scopo di conoscere se Tizio o Caio abbia depositi o conti presso quella banca, conoscendone anche la giacenza in tempo reale e poi provvedere a promuovere un pignoramento presso terzi. Gli stessi informatori o meglio delatori di banca vengono poi anche compensati per la preziosa collaborazione. Tali compensi poi vengono addebitati al debitore con la notula riepilogativa dell'avvocato recuperatore che inserisce nel conteggio della sua parcella la generica voce "spese per informazioni e/o accesso a banche dati/uffici bancari". Presso certe banche i direttori particolarmente sensibili al recupero crediti, che hanno dimostrato una eccezionale capacità di convincimento dei propri debitori morosi, vengono anche premiati con prebende ad personam che vengono mascherate genericamente nelle competenze comprensive dei premi di produzione. In 25 anni di lavoro in banca posso sentirmi orgoglioso di non aver mai percepito i cosiddetti "ad personam".